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lunedì 3 giugno 2024

Racconti brevi

Racconti brevi

Parabola del Tempio edificando

La bellezza dei racconti brevi sta nell’aria di mistero che si lasciano dietro.
Scrivere un libro intero è un lavoro da encomiare
ma scrivere un racconto breve è un’arte.
Serve innanzitutto un’idea che deve esplodere all’interno di poche pagine.
Ma quello che lo rende eclatante
è lo scorcio di un mondo che in effetti non esisterà mai
se non nell’immaginazione di chi legge
dettata da poche righe trovate all’interno del testo.

Ma questo è solo il mio punto di vista.
Eccone un esempio

Dall’introduzione de
La Russia e la Chiesa Universale
di Vladimir Solov’ëv

Un grande architetto, partendo per un lungo viaggio, chiamò i suoi discepoli e disse loro:
👇
« Voi sapete che io sono venuto per ricostruire il santuario principale del paese
distrutto da un terremoto.
L’opera, ormai, è iniziata:
ho tracciato il piano generale, il terreno è stato spianato
e le fondamenta sono gettate.
Voi mi sostituirete durante la mia assenza.
Io tornerò senz’altro, ma non so dirvi quando.
Lavorate dunque come se doveste compiere tutta l’opera senza di me.
È il momento di mettere in pratica gli insegnamenti che vi ho impartito.
Ho fiducia in voi e non starò ad imporvi tutti i particolari dell’opera.
Badate soltanto di osservare le regole della nostra arte.
 Del resto, vi lascio le fondamenta incrollabili del Tempio,
che io stesso ho gettato, e il piano generale che ho tracciato:
il che vi basterà se sarete fedeli al vostro dovere.
E comunque non vi lascio soli:
in ispirito e col pensiero sarò sempre con voi. »

Poi li portò nel luogo dove sarebbe dovuta sorgere la nuova chiesa,
mostrò loro le fondamenta e consegnò loro il piano.
Dopo la sua partenza, i discepoli lavorarono di comune accordo;
e circa un terzo dell’edificio fu ben presto costruito.
Tuttavia, dato che l’opera era molto grande ed estremamente complicata,
i primi compagni non furono sufficienti e se ne dovettero ammettere di nuovi.
Non passò così molto tempo che tra i principali capi dei lavori sorse una grave contesa.
Ci fu chi pretese che delle due cose lasciate in eredità dal maestro assente
– le fondamenta dell’edificio e il piano generale –
solo quest’ultimo fosse veramente importante e vincolante,
mentre nulla impediva di abbandonare le fondamenta già poste e costruire in altro luogo.
Contestati energicamente dal resto dei loro colleghi, costoro, nel calore della disputa,
arrivarono sino ad affermare
(in contrasto con il loro stesso sentire, più volte apertamente espresso)
che il maestro non aveva mai posto né indicato le fondamenta del Tempio;
e che questa non era che un’invenzione dei loro avversari.
Tra questi ultimi, poi,
ve ne furono molti che, a forza di difendere l’importanza delle fondamenta,
caddero nell’estremo opposto ed affermarono che l’unica cosa veramente seria
fosse la base dell’edificio posta dal maestro: così che il loro compito specifico
consisteva unicamente
nel conservare, riparare e consolidare la parte già esistente dell’edificio,
senza preoccuparsi di portarlo a termine, perché – dicevano
il compimento dell’opera spetterà esclusivamente al maestro stesso quando sarà ritornato.
Gli estremi si toccano e i due opposti si trovarono ben presto d’accordo su un punto:
che non si doveva portare a termine l’edificio.
E però,
il partito che aspirava a conservare in buono stato le fondamenta e la navata incompiuta
si consacrava, a tale scopo, a molti lavori secondari e vi dispiegava un’energia indefessa,
mentre il partito che credeva di poter fare a meno dell’unica base del Tempio,
dopo essersi vanamente sforzato di costruire su un’altra area,
dichiarò che non si doveva fare assolutamente nulla: secondo questi ultimi,
nell’arte dell’architettura l’essenziale era la teoria, la contemplazione dei suoi modelli
e la meditazione delle sue regole e non invece l’esecuzione di un piano preciso;
e se il maestro aveva lasciato loro il proprio piano del Tempio,
non lo aveva certo fatto per farli lavorare in comune alla sua costruzione reale,
ma soltanto perché ciascuno di loro, studiando questo piano perfetto,
potesse diventare lui stesso un buon architetto.
E a questo proposito, i più zelanti di questo gruppo
consacrarono la loro vita a meditare sul progetto del Tempio ideale,
ad imparare ed a recitare a memoria ogni giorno le spiegazioni di questo progetto
che alcuni loro vecchi compagni avevano fatto sulla base delle parole del maestro.
Ma la maggioranza si accontentava di pensare al Tempio un giorno alla settimana,
riservando tutto il resto del tempo ai propri affari.
Tra questi operai separatisti, però,
ve ne furono alcuni che, studiando il piano del maestro e le sue spiegazioni autentiche,
vi ravvisarono delle indicazioni precise, dalle quali risultava che la base del Tempio
era stata effettivamente posta e non poteva essere più cambiata;
costoro si imbatterono tra l’altro in queste parole del grande architetto:
« Ecco le fondamenta incrollabili che io stesso ho posto;
è su di loro che si deve edificare il mio Tempio
se si vuole che esso possa resistere in eterno ai terremoti ed a qualsiasi flagello. »
 Colpiti da queste parole, i buoni operai risolsero di rinunciare al loro separatismo
e di unirsi immediatamente a coloro che avevano custodito le fondamenta
per partecipare alla loro opera di conservazione.

Ci fu però un operaio che disse:
« Riconosciamo i nostri torti,
rendiamo tutta la giustizia e tutti gli onori dovuti ai nostri antichi compagni,
riuniamoci con loro attorno al grande edificio soltanto iniziato,
che noi abbiamo vilmente abbandonato e che essi hanno avuto il merito impagabile
di aver custodito e conservato in buono stato.
Ma innanzitutto bisogna essere fedeli al pensiero del maestro.
Ora il maestro non ha posto queste fondamenta perché non vi si mettesse mano,
ma perché il suo Tempio fosse costruito su di esse.
Dobbiamo dunque riunirci tutti
per innalzare sulle fondamenta che ci sono state offerte l’edificio in tutta la sua interezza.
Se avremo o meno il tempo sufficiente per terminarlo prima del ritorno del maestro,
è un altro problema che lui stesso non ha voluto risolvere.
Egli però ci ha espressamente comandato di lavorare per far avanzare la sua opera
ed ha anzi aggiunto che noi faremo più di lui. »

L’esortazione di questo operaio parve strana alla maggior parte dei suoi compagni.
Alcuni lo definirono un utopista, altri lo accusarono di orgoglio e presunzione.
Ma la voce della coscienza gli diceva chiaramente
che il maestro assente era con lui in " ispirito e verità.


Solov’ev era un grande. Ho molto apprezzato il suo libro.
È impressionante constatare quanto amasse la sua patria
e ancora di più dopo essersi convertito al cattolicesimo dall’ortodossia orientale.
Al tempo stesso era convinto (alla fine del XIX secolo)
che la Russia avesse una grande missione di evangelizzazione universale
e descrive questo sentimento come largamente diffuso in tutto il popolo russo.

È solo un pensiero... ovviamente indimostrabile, ma lo butto lì:
la Russia avrebbe potuto davvero evangelizzare il mondo.
Il Nemico ne aveva paura
per questo si accanì contro di lei, facendone la patria del comunismo.
L’universalismo cristiano percepito dai russi fu in tal modo alterato
e capovolto nell’universalismo sovietico.

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