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T. de Chardin :
" Basta che la Verità appaia una sola volta, in una sola mente, perché nulla possa più impedire d'invadere tutto e d'incendiare tutto "

SAPERE AUDE ! ET SI OMNES EGO NON
Possano le riflessioni di questi giorni trasformarsi in “ricordi d’oro” del tuo domani e accompagnarti ogni giorno nel cammino del Nuovo Anno.

lunedì 5 dicembre 2022

Guardare il mondo con altri occhi

Guardare il mondo con altri occhi


Abbiamo scambiato il giorno con la notte.
Sogniamo a occhi aperti, viviamo a occhi chiusi.
Non riusciamo a sognare e non riusciamo a vivere la realtà.
Due osservazioni di segno opposto,
ricorrenti e veritiere per descrivere la vita presente.
La chiave per comprendere
perché due verità così divergenti hanno un comune fondo di verità
è nel loro campo d’applicazione :
come succede ai lattanti, abbiamo scambiato il giorno con la notte.
Ovvero applichiamo alla veglia le categorie del sogno e al sogno le categorie della veglia.
Da un verso cresce la paura della vita e della realtà.
Paura della violenza, dello straniero, del razzista, delle malattie,
del contagio, del buio, dell’inquinamento.
E paura di far figli, di perdere il tenore di vita, paura del futuro ma anche del passato.
Allora si cerca rifugio nelle illusioni, nella mitologia secondaria o d’asporto,
nel fumo, nelle trasgressioni, nella vacanza, nel video, nella cuffia, nei carrelli della spesa.
Non è una novità aggrapparsi alle illusioni :
cambiano i veicoli, gli oggetti usati, non gli effetti.

In un passato anche recente, le illusioni furono le utopie rivoluzionarie,
le ideologie che promettevano paradisi in terra e società perfette.
Le illusioni degli uni erano le paure degli altri, il terrore, la violenza.
C’era chi bruciava i sogni dopo aver incendiato la realtà e chi faceva il contrario.
I disagi, le violenze, le paure del presente
sono passate con gli anni dalla sfera pubblica e storica alla sfera intima e privata,
ma rivelano la stessa tendenza a scambiare il sogno con la veglia.
Quando dovremmo vivere la realtà quotidiana alla luce del sole,
fare i conti con ciò che siamo davvero, con il mondo concreto che ci circonda,
con la nostra vita, i suoi limiti e le sue imperfezioni,
ci rifugiamo nei desideri, inseguiamo chimere, viviamo di universi fittizi,
mondi perfetti, società inesistenti, fughe nella realtà virtuale;
incapaci di vivere, ci abbandoniamo ai sogni, compreso il sogno della merce.
E quando invece dovremmo sognare, lasciare il campo alla libera immaginazione,
all’incanto o all’irruzione del mito,
allora ci barrichiamo nelle ferree leggi della ragione, nella contabilità,
nella tecnica e nei bisogni materiali.
 Così l’amore è ridotto alla libido,
la religione è ridotta a transfert nei cieli dei nostri bisogni e delle nostre paure,
l’arte è ridotta all’audience e alle condizioni socio-economiche,
le idee ai rapporti di produzione e consumo, la cultura al potere culturale.
Ci snaturiamo quando dovremmo vivere secondo natura
e ci aggrappiamo alla natura quando dovremmo liberare i sogni soprannaturali.
Funzionano a pieno regime le fabbriche dei sogni, dalla fiction all’astrologia :
Theodor Adorno in Stelle su misura
analizzò questo trasloco nella veglia delle allucinazioni oniriche e delle psicosi notturne.
L’inversione tra il giorno e la notte, tra il sogno e la veglia,
trovò nel surrealismo e poi nel ’68 una formula di successo : l’immaginazione al potere.
Il risultato fu rovesciare l’uomo,
farlo camminare con la testa e pensare con i piedi, cioè con la praxis,
ribaltando così il rapporto col cielo e la terra.
I malesseri del presente - come i dolorosi furori del passato - hanno quella stessa matrice :
sogniamo quando dovremmo vivere, viviamo quando dovremmo sognare.
Dormienti di giorno, insonni di notte,
apriamo gli occhi quando è buio, li chiudiamo quando c’è il sole.
Pesanti nella leggerezza e leggeri nella gravità.

Gli psicanalisti, come Hethan Watters,
raccontano cosa succede quando si perdono i sogni di notte e la realtà di giorno.
È la chiave più giusta per spiegare la malattia occidentale :
la pretesa di calcare il cielo con i piedi e di camminare con la testa.
Così i nostri dei e i nostri miti sono pedestri, all’altezza delle nostre suole,
o al più dell’inguine,
e la nostra vita terrena si perde nel cervello,
in quella tirannia dell’immaginazione sulla realtà, del cervello sulla vita concreta
che Paul Celàn, prima di suicidarsi, chiamava psicocrazia.
I miti caduti in terra si chiamano malattie.
Viviamo bene in stato di sospensione e di incoscienza, da automi e fruitori dell’attimo.
Quando viviamo male,
i sogni si fanno incubi e la realtà si fa maledizione inflitta da altri.
 Così la vita diventa una confortevole patologia.
La via d’uscita, facile a dirsi e ardua a realizzarsi,
è restituire i sogni alla notte e la veglia al giorno,
ridare il cielo agli dei e la terra agli uomini,
ripristinando il duplice bisogno di miti e di realtà che ci rende uomini,
mai scambiandoli di posto e di momento.

Ripreso da :

- Marcello Veneziani -
Alla luce del Mito
Marsilio - 2017


Un libro da leggere con calma ... lasciandosi coinvolgere.

Il mito è quel che si può dire, l’Essere invece è quel che non si può dire.
Il mito va narrato, l’Essere va taciuto. Il mito schiude, l’Essere racchiude.
La verità è indicibile, il suo abito invece si può descrivere, magnificare e ricamare.
Verso il mito si procede a occhi aperti,
all’Essere si accede a occhi chiusi, in estasi o abbandono.


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