Tecnologie : consensi e rifiuti
Punti di vista ideologici ?
  C'è un aspetto del nuovo conservatorismo che i suoi nemici
    sottovalutano.
  Un programma ideologico
  che potremmo definire, prendendo a prestito il titolo dell'ultimo libro di
    Susanna Tamaro
  « Tornare umani ».
   Si tratta di una ribellione ad ampio spettro
  contro tutto ciò che incarna nell'uomo l'immenso potere odierno della
    tecnologia.
  E anche se non si può definirlo un atteggiamento propriamente
    anti-scientifico,
  perché non lo è,
  mette comunque in discussione il progresso, o almeno
  contesta la rapidità sconvolgente con cui sta modificando la vita delle
    persone.
  È un sentimento
  che abbiamo già visto all'opera nelle sue forme più parossistiche contro i
    vaccini,
  e che si traduce nel timore che la tecnologia
  possa modificare il nostro corpo e la nostra mente,
  dando vita a un esperimento di trans - o post - umanità;
  magari rispondendo agli interessi di una élite mondiale che,
  da George Soros a Bill Gates,
  investirebbe le sue grandi risorse nel sogno demiurgico di resettare il
    genere umano.
  Bisogna però riconoscere che, complottismi a parte,
    questo allarme ha anche una sua razionalità;
  
  
    e comunque incontra le preoccupazioni di grandi masse,
  
  
    perché riguarda molti campi del vivere comune
  
  
    e può intrecciarsi anche con disagi economici e tensioni sociali
  
  
    che scuotono da tempo l'opinione pubblica
  
  
    ( disoccupazione da tecnologia, pagamenti elettronici, digital divide,
      violazioni della privacy ).
  
  
      Un esempio è la cosiddetta « sovranità alimentare ».
    
    
       Il progetto che ha dato il suo nome al vecchio Ministero
        dell'Agricoltura,
    
    
      forse non a caso affidato all'uomo politico più vicino a Giorgia
        Meloni
    
    
      e ispirato dal giovane e rampante presidente di Coldiretti, Ettore
        Prandini,
    
    
      non si limita infatti
    
    
      a proporre un incremento della produzione agricola nostrana,
    
    
      inseguendo l'autosufficienza alimentare almeno in campi per così dire
        indigeni,
    
    
      come il grano duro o l'olio d'oliva.
    
  
      Ma nell'aspra polemica
    
    
      ingaggiata dal ministro Lollobrigida contro i cosiddetti «
        cibi sintetici »,
    
    
      come la carne coltivata in laboratorio,
    
    
      rivela anche il suo contenuto più simbolico e per così dire
        culturale.
    
    
      Gli sforzi della tecnologia per produrre alimenti che comportino meno
        inquinamento,
    
    
      meno rilascio di « gas serra » nell'atmosfera, meno consumo di risorse
        come l'acqua,
    
    
      vengono infatti rifiutati perché non « naturali ».
    
  
    Ovviamente ci sarebbe molto da discutere su che cosa sia davvero
      naturale
  
  
    in un habitat modificato da duecentomila anni di Homo Sapiens :
  
  
    dalle piante da frutto sino alle razze degli animali domestici,
  
  
    niente è più come era in una preistorica Natura, e tutto è stato da noi
      manipolato.
  
  
    Ma è vero che mangiare è un'altra cosa.
  
  
      Attribuiamo infatti al cibo un fortissimo valore simbolico,
    
    
      poiché esiste una stretta relazione tra il nutrimento e l'anima.
    
    
      Mangiare è un atto di « incorporazione », con il quale introduciamo
        dentro di noi
    
    
      sostanze provenienti dal mondo esterno.
    
    
      Un processo dunque estremamente delicato,
    
    
      in cui mettiamo in gioco noi stessi, a partire dalla nostra
        salute.
    
  
    Da ogni punto di vista mangiare è un fatto culturale :
  
  
    non solo l'uomo è ciò che mangia, secondo la formula di Feuerbach,
  
  
    ma l'uomo mangia ciò che è, perché nutrendosi
  
  
    compie delle scelte che definiscono il suo rapporto con l'ambiente in cui
      vive.
  
  
    Non a caso siamo l'unica specie sulla Terra
  
  
    che cuocia, cucini e prepari il cibo che ingerisce, consumandolo in
      compagnia.
  
  
      Si può capire forse così
    
    
      perché processi di coltivazione di linee cellulari
    
    
      che ormai accettiamo per esempio nei trapianti di pelle,
    
    
      o in tecniche di laboratorio ormai sdoganate
    
    
      perfino per la più sacra delle attività umane, e cioè la generazione di
        figli,
    
    
      ci facciano abbastanza orrore se si tratta invece di « costruire
        » nuovi cibi
    
    
      manipolando proteine vegetali o tessuti animali,
    
    
      per far sì che assumano l'aspetto e il gusto di pietanze
        tradizionali
    
    
      come una bistecca o un hamburger.
    
    
      Persino chi, come chi scrive, crede nella libertà della ricerca
        scientifica
    
    
      e approva l'impiego della tecnologia al servizio degli interessi
        dell'uomo,
    
    
      prova un certo irrazionale ribrezzo all'idea di mangiare della
        carne
    
    
      che non venga dalla macellazione di una mucca.
    
    
      Pur sapendo benissimo che il processo di allevamento
    
    
      è quanto mai crudele e doloroso per l'animale, e
    
    
      incredibilmente dispendioso di risorse naturali non infinite.
    
    
      Può darsi che questo dilemma,
    
    
      questa divisione tra chi guarda alle origini della natura umana
    
    
      e chi ne immagina un nuovo salto evolutivo grazie alla
        tecnologia,
    
    
      sia destinato a diventare il vero spartiacque tra destra e sinistra nel
        XXI secolo,
    
    
      e forse oltre.
    
  
      La sinistra deve perciò rifuggire dall'eccesso di semplificazione in
        cui troppo spesso cade,
    
    
      per cui tutto ciò che avviene in un laboratorio è progresso e
        avanzamento scientifico :
    
    
      nemmeno la scienza pensa questo di sé, e anzi rifiuta ogni dogma,
    
    
      limitandosi ad accertare ciò che non si può dimostrare falso.
    
    
      Un neo-positivismo non darebbe risposte
    
    
      a chi teme la progressiva perdita di tratti tipici ed essenziali del
        genere umano.
    
    
      Un teologo come Vito Mancuso
    
    
      si è spinto anzi a definire la conservazione della nostra vera
        natura
    
    
      come la nuova utopia per cui vale la pena di battersi :
    
    
      «
        Mentre le vecchie miravano a cambiare il mondo,
la nuova utopia mira più modestamente a non farsi cambiare dal mondo,
    la nuova utopia mira più modestamente a non farsi cambiare dal mondo,
      e a custodire l'umanità »
    
  
    C'è ovviamente un pericolo nella battaglia culturale intrapresa dalla
      nuova destra,
  
  
    ed è che finisca per demonizzare la ricerca e la tecnologia,
  
  
    facendo l'errore uguale e contrario di chi la idolatra, e
      oltretutto
  
  
    danneggiando così anche la capacità competitiva del nostro Paese,
  
  
    la sua futura abilità a produrre sviluppo e ricchezza.
  
  
    Ma non basterà enunciare questo rischio per esorcizzarlo.
  
  
    Perché la porzione di società spaventata dal progresso è ampia,
  
  
    e ha votato a destra anche per questo.
  
  - Antonio Polito -
per il : “Corriere della Sera”
per il : “Corriere della Sera”
  La pensi al riguardo ognuno come meglio crede
  cercando però con onestà intellettuale
  di distinguere il vero progresso dai deliri di onnipotenza.
  👇
    Sfida all'Assoluto
  
  
    E' la Vita
  
  
    che consumando gli Idoli che la sorreggono
  
  
    genera l'argilla intrisa di sangue
  
  
    su cui il Destino semina tutti i futurismi con cui sfida Dio.
  
  
    Infine ... è la conoscenza.
  
  
    Ma essa giunge
  
  
    quando l'Assoluto ha salito un altro gradino.
  
  
    Al'An
  
  
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