Preparate per me una schiavitù e una padrona
E così vedo preparate per me una schiavitù e una padrona :
addio, ormai, o bella libertà dei padri,
mi s'impone un duro servaggio, in prigionia di catene;
a me infelice, Amore non allenta i legami;
e mi arde senza curarsi se sono innocente o colpevole.
Brucio, ahimè; crudele fanciulla allontana le tue fiaccole.
Oh, affinché io possa non soffrire tali pene,
quanto preferirei essere una pietra sui gelidi monti,
oppormi quale roccia alla furia dei venti,
percossa dall'onda del vasto mare causa di naufragi !
Ora è amaro il giorno, e più amara l'ombra della notte,
tutte le ore mi sono intrise di acre fiele.
Né mi giovano le elegie e i carmi che Apollo m'ispira :
ella protende continuamente la mano per chiedere la mercede.
Allontanatevi da me, o Muse, se non soccorrete chi ama :
non vi onoro perché devo intonare inni di guerra,
né descrivo il cammino del Sole o i ricorsi della Luna,
quando, colmato il suo disco, volge i cavalli.
Con i carmi chiedo facile accesso a colei che mi ha in suo potere :
se questi non servono, allontanatevi da me, o Muse.
Ma devo procurarmi doni anche con eccidi e delitti,
se non voglio giacere in lagrime davanti alla sua porta chiusa,
oppure strapperò le offerte votive appese ai sacri templi,
ma più d'ogni altro dovrò profanare Venere.
Ella m'induce al delitto, e mi assegna un'avida padrona :
sia lei dunque a sentire le mie mani sacrileghe.
Maledetto chi è intento a raccogliere verdi smeraldi
e tinge il candido vello della pecora con porpora tiria.
Egli, e le vesti di Cos, e la fulgida conchiglia del Mar Rosso,
sono le prime cause dell'avidità delle fanciulle.
Questo le ha rese perverse; da qui la porta conobbe la chiave,
e il cane cominciò a restare di guardia sulla soglia.
Ma se rechi una pingue mercede, la custodia è vinta,
le chiavi non sono di ostacolo, il cane stesso tace.
Ahi, qual bene aggiunse a molti mali quel dio,
qualunque sia stato, che diede la bellezza a una donna avida !
Da qui il risonare di pianti e di risse, questa fu infine
la causa che fece di Amore un nume infamato.
Ma a te, che escludi gli amanti superati da altri nel compenso,
il vento e il fuoco rapiscano le procacciate ricchezze,
e anzi allora i giovani guadino beffardi l'incendio delle tue cose,
e nessuno si adopri zelante a gettare acqua sulle fiamme;
se per te giungerà la morte, non vi sarà nessuno a piangerti,
né chi porga la sua offerta votiva alle tristi esequie.
Invece colei che sia stata mansueta e non avida, anche se vivrà cent'anni,
avrà chi la piange davanti al rogo ardente,
e qualche vecchio, ricordando con venerazione gli antichi amori,
ogni anno appenderà una ghirlanda al tumulo da lui eretto,
e dirà allontanandosi: « Riposa serena e in pace;
la terra ti sia leggera sulle ossa di tranquilla defunta. »
Predìco il vero : ma il vero a cosa mi giova ?
M'è forza servire Amore com'ella impone.
Anche se mi ordinasse di vendere la dimora avita,
obbedite al suo cenno, o Lari, e vi si metta all'incanto.
Tutti i tossici di Circe e il veleno di Medea,
tutte le qualità di erbe che il tèssalo suolo produce,
e quell'ippòmane che stilla dall'inguine delle bramose cavalle,
quando Venere ispira lascivia agli indomiti armenti,
purché la mia Nemesi mi guardi con volto benigno,
e mille altre erbe mescoli anch'essa, io berrò d'un sorso.
- Albio Tibullo -
Elegie
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