Dopo il ballo la scelta
  Nel vastissimo opus letterario di
    Tolstoj, v’è un racconto, alquanto breve,
  scritto in età matura - nell’anno 1903 - dal titolo “
    Dopo il ballo ”:
   poche mirabili pagine che sanno affrontare un tema importante quale
    la libera scelta
  che ognuno di noi deve operare rispetto alla violenza dell’uomo sull’uomo.
  Ad un consesso di amici e conoscenti della buona società russa,
  la conversazione sfiora, prima leggera e distratta, poi d’un tratto più
    consapevole,
  argomenti quali l’origine del bene e del male.
  Il protagonista, il nobile e anziano Ivan Vasilievic, stimato e benvoluto
    da tutti i presenti,
  afferma che la sua vita cambiò nel volgere di una sola notte,
  e non per effetto dell’ambiente e delle condizioni di vita, ma per un unico
    avvenimento,
  del tutto casuale.
  Inevitabilmente, la sua affermazione perentoria e apodittica
  non manca di suscitare l’avida curiosità degli astanti, alla quale egli
    risponde
  raccontando il fatale episodio proveniente da un lontano passato.
    Intorno al 1840, Ivan Vasilievic, giovane studente universitario
  
  
    attratto come tutti i suoi pari dai multiformi piaceri della vita,
  
  
    si trovò ad essere innamorato in maniera tale
  
  
    da superare di slancio la solita, fatua successione di corteggiamenti e
      amorucci
  
  
    tipici del suo status di figlio della nobiltà.
  
        Nel periodo di maggior intensità del suo amore per Varenka, il
          calendario delle festività mondane gli offre la possibilità di danzare
          per tutta la notte con l’oggetto della sua passione. E’ infatti in
          programma, nell’ultimo giorno di carnevale, un ballo offerto da un
          vetusto membro della corte. Tolstoj fa rivivere, attraverso le parole
          di Vasilievic, tutta la magnificenza che una serata di tal fatta offre
          senza risparmio:
          «
            Una sala bellissima, coi coretti sospesi; suonatori scelti, di
              proprietà (c’era ancora la servitù della gleba) d’un possidente
              musicofilo; buffet sontuosissimo e un vero mareggiare di
              champagne. Sebbene dello champagne io fossi un buongustaio, pure
              non ne toccai, poiché già senza bere ero ubriaco d’amore; in compenso, ballai fino a stramazzar per terra, e valzer e
              polche: quanto era più possibile, naturalmente, sempre con
              Varenka. »
      
      
        Il giovane riesce, nell’arco di tutta la sera, nell’intento di
          scoprire negli occhi intenti della sua amata gli stessi sentimenti che
          lo animano. La sua gioia, ormai al riparo da cattive sorprese, è tanto
          viva da abbracciare con generosità l’universo intero. Il momento clou
          del ballo giunge allorquando Varenka cede all’invito del proprio
          padre, un ufficiale militare all’antica, e gli si concede per una
          danza che colma di commozione Ivan Vasilievic: la figura di quell’uomo
          d’arme così orgoglioso e fiero della figlia, gli ispira un sovrappiù
          di “tenerezza estasiata”.
      
      
        
          Col ritorno a casa di Ivan si compie l’epifania del racconto, un
          succedersi brutale e incalzante di eventi che non lascia spazio a
          fraintendimenti e non permette alla sua coscienza di astrarsi in uno
          stato di oblio. Incapace di prendere sonno, il protagonista sceglie
          di tornare in strada, mentre ormai fuori sta albeggiando. Invece di
          riprendere il filo dei suoi pensieri lieti, Ivan si arrende a ciò che
          l’alba livida gli offre: un quadro di onirica, efferata umiliazione
          dell’umano:
      
      
        «
            Quand’ebbi fatto un centinaio di passi, fra la nebbia incominciai
              a distinguere numerose, nere figure umane. Indubbiamente, soldati. [...]
            Ma che cosa fanno, domandai al fabbro, che mi s’era fermato al
              fianco.
            “ Puniscono un tartaro che ha cercato di disertare ”,
            rabbiosamente esclamò il fabbro, e intanto scrutava giù infondo
              allo schieramento. Tesi anch’io lo sguardo laggiù, e avvistai, tra
              le due file, non so che cosa orrenda, che veniva avvicinandosi in
              qua. La cosa che veniva così avvicinandosi era un uomo denudato
              alla cinta, legato ai fucili di due soldati che lo trascinavano. A
              pari con l’uomo, veniva innanzi un’alta figura d’ufficiale in
              mantello e berretto, che mi parve conoscere già… Era il padre di
              lei, col viso vermiglio e il bianco dei baffi e dei favoriti. Ad
              ogni colpo, il punito, in una specie di stupore, girava,
              aggrinzita dal dolore, la faccia verso quel lato, da cui era
              venuto il colpo: e, digrignando i denti bianchi, ripeteva sempre
              una frase, sempre la stessa. Soltanto quando mi fu vicinissimo, io
              distinsi quelle parole. Non diceva, ma singhiozzava:    
      
      
         “ Fratelli, abbiate pietà. Fratelli, abbiate pietà ”
            ».
      
      
        L’incubo di cui Ivan è divenuto testimone si allontana gradualmente
          dalla sua vista. Il padre della sua amata è proprio quell’essere,
          dimentico di ogni pietà, che sferza i suoi sottoposti perché non
          colpiscono con sufficiente durezza la vittima indifesa, che chiede che
          i soldati vengano riforniti di nuove verghe per scavare solchi più
          profondi nella schiena del condannato. Il racconto, di fatto, finisce
          qui. Spronato dalle domande incredule dei presenti, Ivan Vasilievic
          dice quel che il lettore ha già intuito che quell’aberrante visione fu
          la fine dell’amore per Varenka: il giovane non fu in grado di
          riconciliare il suo sentire a quello che i suoi occhi avevano
          registrato.    
      
      
        Lungi dall’essere un racconto amaro, “
          Dopo il ballo ” è, in
          fondo, un inno alla volontà dell’uomo di agire per il bene. Invece di
          divenire cinico e disincantato, il protagonista sceglie di dedicare la
          sua esistenza al prossimo, come gli riconoscono senza alcuna retorica
          i suoi amici più cari.
      - Alberto Melotto -
      
        “ Megachip ” del 17 agosto 2013
      
      
        Libro : “ Tutti i racconti, vol. 2 ”
      
      
        edito da Mondadori nei “ Meridiani ”
      
      
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