La lingua dei servi (per una nuova crociata)
« Chi parla male, pensa male » affermava Nanni Moretti nel suo film
Palombella rossa
e, nonostante non ne sia una fedelissima estimatrice,
condivido pienamente questa affermazione,
perché
il linguaggio informa di sé il pensiero e lo forgia.
Il particolare status di colonia ideologica, culturale, sociale nonché
politica dell’anglosfera
ha portato l’Italia ad una americanizzazione per sostituzione :
duemila anni di civiltà destinati a scomparire,
fagocitati dalla decadenza di una società della barbarie che, come una
metastasi,
si è sviluppata corrompendo dall’interno, non solo il nostro paese ma il
mondo intero.
Ha ragione Pier Paolo dal Monte
quando afferma che è inesatto chiamare tale fenomeno totalizzante
“mondializzazione”
più esatto definirlo americanizzazione.
Il linguaggio e, di conseguenza, il pensiero
sono stati i primi ad essere infettati da questo morbo che,
lentamente,
ha infestato ogni ambito.
La società rozza, banale, semplificatrice nord americana, basata
sull’assenza di passato, sull’impraticabilità del futuro e su un
infinito presente,
sta inesorabilmente soppiantando quell’occidente complesso
che, al contrario,
vantava radici profonde nel suo passato e fondava il suo futuro
nell’agire presente.
La tradizione cristiana ne è un’esemplificazione chiarissima.
L’argomento sarebbe molto esteso, tuttavia non lasciandoci spaventare
dalla vastità,
cercheremo di tracciare delle linee di discussione
che ci servano da guida per successivi approfondimenti.
L’immanenza, sebbene non
percepita come tale,
regna sovrana e domina ogni singolo istante della nostra vita:
l’uomo contemporaneo ha smesso definitivamente di aspirare al
trascendente, ripiegandosi ed avviluppandosi in un perpetuo e sempre
più agonizzante presente che cerca di cancellare il passato, in un
continuo svilimento, e che restringe, fino a farle scomparire del
tutto, le prospettive quindi, il futuro.
In questo eterno presente l’uomo aziendalizzato vive in una sorta
di incanto
subculturale e sociale
che fa di lui un misero indebitato consumatore, pronto a legarsi, per anni, allo scopo di accaparrarsi oggetti di
sempre più rapido consumo che, impropriamente, grazie ad un ingannevole
metonimia, vengono definiti beni.
Tutto ciò avviene in un’irrealtà in cui nulla è ciò che
sembra, un metaverso in cui ogni cosa appare senza essere. Cibo che appare
tale ma non lo è, relazioni che devono apparire reali ma non lo sono,
famiglie di facciata che, come tali, diventano surreali, persino il
sesso, quanto di più concreto ci sia, ha dovuto sublimarsi fino a
diventare virtuale.
Trionfo del nulla e dell’assenza
riempito di oggetti reali ed emozioni virtuali voracemente consumati per
essere rapidamente sostituiti da altri oggetti ed emozioni destinati a
creare immondizia indifferenziata in costante crescita.
Questo fenomeno di sostituzione totale e distruzione delle
fondamenta dell’occidente e della sua civiltà, non sarebbe stato
possibile senza un impoverimento del pensiero che passa, giocoforza,
per una banalizzazione e semplificazione del linguaggio.
L’essere umano non sa più ragionare perché non sa più parlare, perché ha perso, e sta continuando a perdere,
quegli strumenti linguistici che, costituendone la ricchezza,
sono alla base della gnoseologia, conseguentemente, della lettura
del presente e della costituzione della Weltanschauung.
Il cancellamento del passato è ormai evidente, persino ai più ottusi celebratori del finto progressismo; il suo
svilimento è sotto gli occhi di chiunque voglia realmente occuparsi di
storia, solo gli stolti continuano ad informarsi tramite gli pseudo
studi o i fantomatici documenti prodotti e disvelati, ad hoc, dai
vincitori. Gli altri, per fortuna, hanno una profondità di pensiero tale
che gli permette ancora di studiare, ragionare ed analizzare il passato
senza ingombranti e nostalgici pregiudizi ideologici…
Questo cancellamento del passato è legato alla scomparsa, per esempio,
del passato remoto che non è, grammaticalmente e linguisticamente, più
preso in considerazione dalla “moderna” didattica che si
concentra, di fatto solo su due tempi: passato prossimo ed imperfetto e
che lo rilega a “tempo letterario”.
Se tale impoverimento linguistico è preoccupante, non lo è di meno la progressiva sostituzione del futuro che scompare inglobato nel
presente: domani vado, tra una settimana faccio…
uno svilimento temporale da cui traspare il conseguente autolimitarsi
al presente, sia al pensiero che, soprattutto, all’azione: in assenza
di futuro manca la spinta propulsiva che spinge all’azione presente. Da questo nasce la perenne domanda: A che serve ?
Ogni azione perde di significato se non ha una sua utilità
immediata. La massa medicalizzata non solo vuole una ricetta, ma la
vuole per una panacea che porti risultati immediati.
È chiaro che questo ha delle implicazioni profonde in ogni ambito,
primo tra tutti quello politico, ed in questi ultimi anni ne abbiamo
avuto contezza, ogni azione sembrava essere preclusa proprio a causa di
questa triviale domanda di fondo.
L’imbarbarimento del linguaggio però tocca il fondo nella scomparsa
dell’uso di un modo verbale fondamentale della lingua italiana: il
congiuntivo.
Il modo della soggettività, quello che permette di esprimere le
proprie opinioni rendendole autorevoli senza essere autoritarie,
il modo che concede una possibilità ad argomentazioni apparentemente
contrastanti proprio tramite le concessive, un modo, non a caso, totalmente assente
nella lingua inglese. Un modo erroneamente sostituito dal condizionale,
un lapsus che, oltre a suscitare orrore, ha una ricaduta
“psicologica” non indifferente perché sottende una condizione che
lo renda attualizzabile.
Questi sono esempi di un impoverimento linguistico che definirei
interno, strutturale, a cui dobbiamo
aggiungere un imbarbarimento esterno dilagante come l’ignoranza:
l’uso sempre crescente di anglicismi.
Chiaro
sintomo di una sudditanza linguistica sempre più imperante, che
testimonia del servilismo nei confronti della lingua dei vincitori,
dei dominanti. Una pauperizzazione ideologica diventata una sorta di
moda a buon mercato, se a questo inquietante fenomeno aggiungiamo il dilagare dei
linguaggi settoriali, da quello tecnico-informatico a quello
economicistico e, ultimamente, medico, la piccola galleria degli orrori
linguistici è completa.
Solo per pretestuosa polemica, apriremo una breve parentesi, accennando
al
linguaggio giovanilistico che, guarda caso, si è fatto strada a
partire dagli anni ’60, matusa, a monte, cioè
ed è andato via, via americanizzandosi
sempre di più per arrivare al decadimento totale del momento attuale
fren, basato, boomer, respect!
Di nuovo il divide et impera, questa volta linguistico, vorrebbe
rispecchiare quello sociale:
la volontà di creare una distanza artificiale che venga però
percepita come una sostanziale differenza e fare in modo che un
divario di interessi, assolutamente creato a tavolino, venga accolto
come reale e cogente.
Parafrasando una nota diatriba filosofica,
americanizzandoci abbiamo accolto la lingua della miseria per
arrivare allo stato attuale di miseria della lingua, passando
attraverso la miseria del pensiero. Un Far West subculturale che sta facendo strame delle vestigia della
nostra civiltà e che sta lasciando sul suo cammino, al pari del Nulla
del famoso film, solo macerie fumanti in cui greggi di individui,
ridotti quasi al silenzio grazie all’insipienza in cui sono immersi,
scorrazzano chiassosi ed impotenti, assorbendo, metabolizzandola
immediatamente, qualsiasi immondizia venga loro propinata.
Se, come scriveva Heidegger, « l’uomo agisce come se fosse lui a forgiare e a dominare il
linguaggio, mentre è il linguaggio che resta signore
dell’uomo » e «il linguaggio è la casa della verità dell’essere» allora
diventa chiaro quanto la regressione imposta dai vincitori ai vinti
sia distruttiva, quanto profonda sia la ferita inferta al nostro
pensiero e quanto sia aberrante quello a cui siamo sottoposti,
obbligati ad una pauperizzazione che parte dalle scuole elementari
e, disegnando un destino tragicomico, giunge fino all’università.
Essere sgrammaticati, non conoscere l’uso corretto della
punteggiatura, infarcire il proprio parlato di anglicismi o
tecnicismi non può essere considerato figo, guardiamo in faccia la
realtà, un tale imbarbarimento non denota altro che profonda
ignoranza e servilismo.
La lingua della decadenza e della barbarie intellettuale non può
trionfare su quella della civiltà.
Dobbiamo tornare di nuovo al 2 gennaio 1492 ma, questa volta, la
Reconquista sarà ancora più lunga e difficile, perché l’invasione è
molto più profonda e radicata di quanto non fosse quella e, soprattutto
non ha portato con sé nulla che valga la pena salvare.
- Maria Micaela Bartolucci -
Frontiere
Laboratorio per la demondializzazione
Purtroppo la cultura europea di radice cristiana e di vero umanesimo
ha seguito un modello di (in)civiltà rinnegando così sé stessa
votandosi all'annientamento formativo culturale dei nostri ragazzi
... e di conseguenza al proprio suicidio.
Ma grazie al cielo
il tempo concesso per permettere tutto ciò pare approssimarsi
alla scadenza.
Stiamo vivendo tutti un Tempo drammatico e maestoso.
Ed è un grande Dono essere qui proprio in questi momenti :
chi come protagonista ... chi come attore ... chi come testimone
di un cambiamento di paradigma
che porterà nel Tempo questo pianeta con i suoi abitanti
a far risplendere nuovamente la Magnificenza che È.
💧
Dante - Divina Commedia Inferno XXXIV-139
" ... and thence we came forth to see again the stars "
" ... e quindi uscimmo a riveder le stelle "
E chi la vuol capire la capisca
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