Satana lotta con Dio
e il loro campo di battaglia è il cuore degli uomini
Il male è la tragedia dell’umanità.
Che nella vita dell’uomo esso abbia una potenza così dirompente e una
presenza così vistosa
è impressionante.
Luca Signorelli - Il dannato
Cappella di san Brizio ( particolare ) Duomo di Orvieto
La sua incidenza è così profonda che ci si domanda come siano potute
sorgere e durare concezioni ottimistiche inneggianti ai progressi
dell’umanità e fiduciose nella realizzazione d’un mondo perfetto. Ma il
male non è circoscritto all’uomo: esso attinge anche la divinità, è una
tragedia anche divina. La lotta fra bene e male ha allora un carattere
universale: è una grandiosa vicenda cosmica, che coinvolge il tempo e
l’eternità, la storia e la trascendenza, il corso dei secoli e la loro
totalità. Essa si svolge anzitutto nell’animo dell’individuo, come senza
pregiudizio dei suoi aspetti universali ricorda
Dostoevskij: « Satana lotta con Dio, e il loro campo di battaglia è il cuore degli
uomini ». Nessuno come Dostoevskij ha saputo rendere la tragica situazione
dell’uomo come sede della lotta fra bene e male. Egli parla di nature
vaste, tali da contenere in sé tutti i contrasti possibili e da
contemplare contemporaneamente i due abissi: «
l’abisso che è al di sopra di noi, quello dei supremi ideali, e
l’abisso che è sotto di noi, quello della più abietta degradazione
».
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Certo la gran massa delle persone non se ne rende conto, immersa com’è
nella comune fangosità degli uomini, e si contenta di restare nella
mediocrità, ove la virtù si esaurisce in una bontà vacua e leggera, forse
non ignara di slanci, ma nella sostanza volubile e inconcludente, e la
malvagità, dovuta soprattutto alla prepotenza dell’interesse e alla
sfrenatezza degli impulsi, è confinata in una meschina e grigia volgarità.
Nessuna delle due assurge a un livello di vigore e dignità: restano su un
piano inferiore, in cui non c’è posto per un vero e proprio conflitto,
perché una bontà velleitaria e inconsistente e la rozza efficienza d’un
interesse dissimulato sono compatibilissime tra loro e facilmente
conviventi.
Le cose cambiano quando al di sopra della melma si ergono i culmini, fra
i quali la lotta è resa possibile proprio dalla parità del livello, per la
quale v’è una corrispondenza tra lo sfolgorante splendore del bene e i
sinistri bagliori irradiati dalla fredda luce del male. Essi stanno su
vette che, pur essendo separate da un abisso, si elevano alla stessa
altezza, sì che molte coincidenze collegano strettamente fra loro i
culmini contrastanti del bene e del male: la stessa purezza, la stessa
abnegazione, lo stesso vigore.
Anzitutto la purezza: come il bene autentico è voluto per se stesso, e
non per altri fini, così il vero male non ha altro movente e altra mira
che se stesso. Il bene per il bene ha il carattere dell’obbedienza, non
certo prestata a una legge che s’imponga dal di fuori: v’è un’obbedienza
del tutto autonoma, che consiste nell’aderenza del bene a se stesso, nello
stesso atto con cui la libertà compiendolo afferma se stessa.
Analogamente, ma inversamente, il male per il male, il male diabolico, è
un atto di trasgressione, compiuto per pura rivolta e pura volontà di
negazione. La motivazione del male è il male stesso: il male non può
nascere che dal male. Spesso il male è commesso, come dice
Baudelaire, « per nulla, per capriccio, per non saper che altro fare », per quel « genio della perversità » di cui parla
Poe, per il gusto della disobbedienza, per il piacere dell’infrazione.
Può accadere che il gusto della rivolta si accompagni all’abiezione; ma
non è questo il caso quando si parla dei culmini del bene e del male,
tanto più rari quanto più elevati, i quali si sottraggono all’indagine
delle motivazioni nascoste, appartenendo ai fastigi dell’umanità, ove non
domina che l’atto gratuito della libertà. A quell’altezza bene e male
hanno in comune dedizione e sacrificio, e la stessa abnegazione è
richiesta sia dall’uno sia dall’altro. Al di là dei volgari interessi, il
male vero ha una sua serietà, che esige tenacia e perseveranza e impone
privazioni e rinunce. Come il bene, così il male ha i suoi asceti e
suppone una grandezza d’animo non comune. Al loro culmine infine bene e
male richiedono energia e risolutezza, senza le quali finirebbero per
disperdersi. Una stessa forza anima sia il bene sia il male, ed è la
libertà, che con la sua potenza conferisce ad essi il vigore di cui hanno
bisogno per mantenersi nella loro autenticità.
È questo, propriamente, l’ambito della lotta fra bene e male.
Nell’umanità emergono e giganteggiano gli eroi del bene e gli eroi del
male, e basta la loro stessa esistenza a contrapporli in una lotta senza
quartiere.
Nel conflitto il male parte favorito perché ha dalla propria parte
l’onnicolpevolezza umana : nessun uomo è giusto, dice continuamente la
Bibbia, e infatti è difficile contestare la solidarietà originaria che lega gli
uomini fra di loro nella colpa. Se è vero che
coeli enarrant gloriam Dei è altrettanto vero che il mondo umano è
disseminato di vittorie del male, al punto che si è tentati di
considerarlo come governato dal principe delle tenebre. Per di più
chi parte svantaggiato è il bene, costretto a non fare assegnamento che
sulla sua sola presenza. Esso è taciturno e muto: per imporsi non conta sull’agitazione e sul
clamore, ma sulla lenta efficacia di questo silenzio che parla solo a chi
sa ascoltare; a differenza del male, che è alacre e rumoroso, esperto
utilizzatore dei mezzi che meglio catturano l’attenzione e assicurano il
successo.
Chi dei due vince dunque nel cuore umano e nel mondo della storia ?
Sembra che il bene, inerme e sprovveduto, debba essere il perdente, e
infatti quante volte è vincente il male, nella sua guarnita intraprendenza
e nella sua incessante laboriosità ? Ma non bisogna dimenticare che il
male è negatività : esso è il nulla operoso e attivo, la pura forza
dell’annientamento. La stessa esperienza del male, condotta sino in fondo,
svela all’uomo che il male non è altro che negazione e distruzione. Non
per nulla
Dostoevskij considera il
principe delle tenebre come «
il grande spirito intelligente e terribile, lo spirito
dell’autodistruzione e del nulla
». Il primo sintomo della forza autodistruttiva del male è l’invincibile e
desolata tristezza e la cupa disperazione che talvolta s’impossessa del
malvagio. E così che nella sua distruttività il male tende a distruggere
anche se stesso: non si aprirà qui un cammino che porta all’affermazione e
alla vittoria del bene, almeno sotto forma di preparazione e promessa
?
Nella loro condizione antinomica bene e male si trovano in rapporto di
compresenza e tensione, di alternanza e rimbalzo continuo dall’uno
all’altro : insomma di una tale opposizione ed estremizzazione, che,
mentre esclude ogni possibilità di conciliazione e accordo, crea
paradossalmente una singolare vicinanza fra i due termini. La stessa
libertà che ne provoca la lotta li unisce in una prossimità tanto più
stretta quanto più abissale è la loro separazione. Da questo punto di
vista la lotta fra bene e male è misteriosamente percorsa dall’ansia di
collegare gli estremi e dalla nostalgia per l’avversario.
Il conflitto si colora di attrazione. Il male si carica di richiami
capaci di interessare il seguace del bene, e il cammino del giusto
costeggia continuamente il baratro della negazione. Nessuno è così vicino
al santo, torturato dall’appello di Dio, come il peccatore in preda alla
disperazione. La formula dostoevskiana del “ santo peccatore ” esprime perfettamente questa compresenza di bene e male nella stessa
persona, tale che dall’opposizione estremizzata possa scaturire persino
una sorprendente collaborazione. Il male lottando col bene può sorreggerlo
nel proprio adempimento, come mettono in luce, ad esempio, William Blake,
Schelling, Dostoevskij, Bernanos. La virulenza del male in lotta col bene
può conferirgli quell’energia e veemenza di cui esso ha bisogno. Del resto
si sa che la scuola del male è essenziale al bene, perché non è bene
quello che non lotta col male. Senza la conoscenza del male il bene è
senza nerbo, edulcorato oggetto di anime belle, incapace di vincere il
male e trionfarne. L’esperienza (non necessariamente reale e diretta) del
male è un potenziamento e un arricchimento, purché sia frutto della
libertà. Concepirla come un passaggio necessario significa renderla
improduttiva e ammettere che solo chi sprofonda nel male può avvicinarsi
al bene.
Ma i rapporti fra bene e male oltre che nella forma dell’antinomia
possono configurarsi nella forma dell’ambiguità. Qui la compresenza non è più la tensione ed
estremizzazione degli opposti inconciliabili, con la possibilità d’una
loro vicinanza e facilità di passaggio dall’uno all’altro, ma trae spunto
dall’indistinzione degli opposti per presentarli in stato di confusione e
mescolanza, con la possibilità di mutui mascheramenti e facilità per
ciascuno dei due termini di assumere l’aspetto dell’altro. Niente di più
drammatico di quel misto di nette opposizioni e torbide mescolanze che
configurano la vita d’un uomo come una vicenda di caduta e rinascita,
morte e resurrezione, rivolta e obbedienza, peccato e redenzione,
perdizione e salvezza.
E dall’ambiguità che discende l’incertezza di distinguere bene e male e
l’incapacità di smascherare il loro reciproco travestimento.
Il male che s’acquatta dietro le fattezze del bene diventa
irriconoscibile, ma altrettanto irriconoscibile diventa il bene in queste sue
contraffatte sembianze. Ingannato dallo scambio l’uomo segue il male
prendendolo per bene, ed è diventato talmente incapace di distinguere
l’uno dall’altro, che non intende come il seguire l’uno e l’altro insieme
sia un doppio tradimento: il bene è tradito una volta perché posposto al
male e una seconda volta perché confuso con esso. È così che nel racconto
di Solov’év solo lo starec
Giovanni è in grado di vedere che l’Imperatore, unificatore dell’universo,
grande filantropo, fondatore del regno della giustizia, è l’incarnazione
del male universale, il figlio del principe delle tenebre, l’Anticristo.
Dal punto di vista dell’ambiguità tutto diventa equivoco: le sembianze del
Cristo sono assunte dall’Anticristo, ed è proprio il male che si nasconde
sotto l’aspetto del bene.
Per conseguire la vittoria il male si serve dell’inganno, e mette in
opera tutte le arti della seduzione, che consistono non solo nel
presentarsi sotto le positive fattezze del bene, ma anche nel contare sul
sinistro fascino dell’orrore e sulla temibile attrazione dell’abisso.
Se il male vince è in virtù dell’inganno, e quindi la lotta del bene
contro il male non ha altra via che lo smascheramento della menzogna. In nessun caso può consistere nell’imposizione del bene. La radice
comune del male e del bene è la libertà, e spetta dunque alla libertà
regolare e decidere la lotta fra i due termini. L’imposizione sembra
un’affermazione del bene, ma ne è la negazione: imporre il bene significa
predisporlo alla sconfitta. Cosa è preferibile fra il male libero e il
bene imposto ? Ovviamente il male libero, perché è sorto nell’elemento
nutritivo della libertà, e quindi contiene in sé la possibilità di
capovolgersi nel bene. Il bene necessario, invece, sembra garantito
dall’imposizione esterna e dalla costrizione logica, ma non può che essere
perdente.
La lotta fra bene e male si svolge non solo a livello esistenziale, nella
puntuale profondità del singolo, e non solo a livello storico, nella più
grande scena del mondo umano, ma anche, e anzitutto, nell’immenso teatro
dell’universo. Se si considera che il centro dell’universo e il cuore
della realtà è la libertà, non si avrà difficoltà a comprendere come la
lotta fra bene e male sia così estesa. Il fatto è che
la libertà è, essa stessa, lotta fra bene e male. Essa è per sé duplice, insieme positiva e negativa, in grado di
affermarsi e confermarsi o di negarsi e distruggersi. Nell’atto originario
con cui si è affermata e confermata essa ha lottato contro il male e l’ha
vinto. Sul piano eterno, presente il rischio che vinca il nulla e il male
trionfi, ha prevalso la libertà positiva: la libertà ha scelto il bene e
si è affermata come vittoria sul male. Insomma, la lotta fra bene e male è
originaria, e altrettanto originaria è la vittoria del bene sul male:
ab aeterno
ha vinto il bene, ab aeterno
è stato vinto il male.
Un’ultima domanda: la lotta fra bene e male è un conflitto intramondano o
un antagonismo divino ? Le cose sono compatibili, data
l’incommensurabilità dei due piani, il temporale e l’eterno. Ma c’è una
difficoltà, ed è che mentre nella divinità il contrasto è deciso in modo
definitivo, nell’uomo invece la lotta è incerta, e tale rimane sino
all’ultimo: siamo nella condizione che il male può sempre dire l’ultima
parola. Sono conciliabili questi due punti di vista ? La storia è come un
cuneo che l’uomo inserisce nell’eternità, fendendola per così dire in due,
cioè respingendo prima di sé e dopo di sé rispettivamente la protologia e
l’escatologia. Protologia ed escatologia sono ovviamente la stessa cosa,
cioè l’eternità che non muta; e la storia è una variante introdotta
nell’eternità che, allo scopo di fornire all’uomo allontanatosi da essa il
mezzo per recuperarla, instaura fra l’uomo e la divinità una drammatica
collaborazione. Si comprende allora come la lotta fra bene e male, immane
combattimento che si svolge nell’immenso teatro dell’universo, possa
essere insieme una peripezia eterna e temporale e una vicenda
cosmoteandrica: la tragedia di Dio, dell’uomo, del mondo,
indivisibilmente.
- Luigi Pareyson -
Leggere n. 20 - 1990
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