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sabato 23 marzo 2024

Cantoterapia

Cantoterapia

Il canto Werbeck


Il canto non appartiene alla dimensione fisica ma a quella eterica.
Noi ascoltiamo i suoni con l’orecchio fisico, ma il canto che si leva dalle corde vocali umane
è ben diverso da quello di ogni altro strumento costruito dall’uomo.
Persino il motivetto che si canticchia a fior di labbra,
per accompagnare un lavoro o un’incombenza pratica,
ci collega sempre al mondo che sta oltre quello materiale.

Quando una voce cristallina s’innalza verso le vette degli acuti,
o un coro unisce le voci in melodie all’unisono o polifoniche,
c’è una rispondenza in chi ascolta
che si dirama dall’orecchio alla laringe per giungere direttamente ai precordi:
il cuore reagisce allora con un’emozione profonda,
perché riconosce un luogo che gli è congeniale, di natura sovrasensibile.

Diceva Massimo Scaligero che in passato gli uomini non parlavano ma cantavano.
L’espres­sione dei sentimenti era modulata dalle intonazioni del canto
e arrivava al cuore di chi ascoltava in maniera diretta,
senza necessità di lunghi giri di frase per quanto si voleva esprimere.
Poi lentamente
il canto perse quella particolare vibrazione che comunicava direttamente da cuore a cuore,
per giungere a una sonorità quasi monotonale, comunicando così solo da mente a mente.
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Gli antichi aedi, i rapsodi, i vati, i cantori come Omero, narravano le gesta eroiche, epiche o mitologiche accompagnando il canto con uno strumento a corde. Quel canto forniva la suggestione dell’azione che si voleva far rivivere, e gli ascoltatori assecondavano con movimenti del corpo il ritmo del canto.

Quando il canto dei poeti perse la melodia, divenendo prosa, in particolare presso i Romani, si diede risalto alla metrica. Gli uditori battevano il piede in terra ad ogni accentazione della parola, conservando cosí il ritmo che sottolineava lo svolgimento del tema trattato.

Per fare un esempio, possiamo trarre alcuni versi dalle Metamorfosi di Ovidio (VIII vv.183-187) in cui Dedalo, prigioniero di Minosse, vuole fuggire per la nostalgia di casa, e dice al figlio Icaro che anche se Minosse possiede la terra e chiude l’accesso al mare, il cielo è libero e da lí fuggiranno.

Daèdalus íntereà Cretèn longúmque peròsus
éxiliúm tactúsque locí natàlis amóre,
clàusus eràt pelagó. «Terràs licet» ínquit «et úndas
óbstruàt, at caèlum cèrte patèt. Íbimus íllac;
òmnia póssideàt, non pòssidet àera Mínos».


Possiamo immaginare il trepestío degli ascoltatori che seguivano gli accenti metrici, e inoltre, pure se il ritmo era conservato, non lo era la melodia degli antichi aedi.

Il canto però ha continuato ad accompagnare la civiltà umana, differenziandosi per epoche, popolazioni e territori, fiorendo, ad esempio, con il belcanto operistico, soprattutto italiano, a partire dal XVI secolo. Gli appassionati del canto lirico spesso non sanno il perché di questa loro passione. È come la nostalgia di un luogo che credono di riconoscere a tratti ma che poi sfugge, e devono riascoltare quel canto per ritrovarlo.

Diceva ancora Massimo Scaligero che la parola dovrà ritornare canto, cosí come la prosa dovrà ritornare poesia. Se l’uomo ripristinerà il contatto con il divino, la parola acquisterà una nuova armonia che potrà, in un tempo futuro, divenire celestiale. Gli angeli non parlano, cantano. Alcuni Iniziati e santi del passato hanno raccontato di aver ascoltato l’incantevole sonorità dei cori angelici, quella che anticamente diversi viandanti avevano potuto sentire attraversando il bosco della località di Assisi che da quel coro prese il nome: Santa Maria degli Angeli.

Si è potuto osservare che alcuni bambini con disturbo dello spettro autistico, che presentano difficoltà di comunicazione verbale, nell’intonare una melodia riescono con il canto a pronunciare parole ben scandite.

Anche per gli anziani il canto può essere molto positivo. Cantare insieme promuove la socialità, migliora l’attenzione e rallenta il processo di invecchiamento. Immergendosi per attimi nell’eterico, al momento del canto, ci si ricarica di una vitalità che restaura il fisico e migliora il tono psichico.

Nel numero dell’Archetipo di febbraio 2003, la grande soprano Marissa Brumby ha trattato con estrema competenza e precisione il “canto Werbeck, un particolare sistema di emissione del suono vocale. Fu elaborato e messo a punto dalla cantante lirica Valborg Werbeck-Svärdström, la quale, dopo aver riportato una paralisi alle corde vocali, riuscì con questo metodo a recuperare pienamente la voce. Si consultò anche con Rudolf Steiner, il quale la incoraggiò a proseguire il lavoro di insegnamento al quale lei si era volta con grande dedizione, ottenendo ottimi risultati nei tre campi di applicazione: artistico, pedagogico e terapeutico. Interessante il filmato che illustra il metodo in maniera molto approfondita.


Il canto non nasce e si sviluppa per esprimere concetti filosofici o codici alfanumerici, ma per manifestare tutta l’intera gamma dei sentimenti umani: dalla gioia alla tristezza, dalla soddisfazione alla disperazione, dal desiderio di evasione alla nostalgia per luoghi e tempi che non ci sono piú, dall’amore vissuto in letizia all’abbandono vissuto in mestizia… tutto suggerisce a chi ascolta il sentimento che quel canto vuole significare.

Più ci applicheremo con costanza e impegno a un lavoro interiore, piú il nostro canto potrà arricchirsi di intonazioni, coloriture ed espressioni che prima sarebbe stato impossibile manifestare: potrà divenire come quello dell’allodola o dell’usignolo che, come ci dice Rudolf Steiner ne La missione universale dell’arte, inviano i loro gorgheggi fino in alto del cosmo, e da lí quel canto ci torna come benedizione del Cielo.

- Marina Sagramora -
L'Archetipo - Marzo 2024

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