Suggerimento

Se hai ragione non hai bisogno di gridare.

S. Paolo : " Vagliate tutto e trattenete ciò che vale "
B. Pascal : " Sia il consenso della vostra ragione e non quella degli altri che vi conduca a credere "
T. de Chardin : Basta che la Verità appaia una sola volta, in una sola mente, perché nulla possa più impedire d'invadere tutto e d'incendiare tutto "
Di mio sento solo di aggiungere che : la Verità non necessita di essere sostenuta da proselitismo ... bensì ... essere semplicemente enunciata e testimoniata.
Essa è sempre coerente con sé stessa e trova per sua stessa natura quale sia il modo più opportuno e la circostanza più adatta per rivelarsi.
E' solo questione di tempo.

Da considerare anche che, una volta conosciuta, la Verità rende sicuramente liberi, ma, in alcune circostanze, niente affatto sicuri.

SAPERE AUDE !

ET SI OMNES EGO NON

Testo scorrevole

*► Esisti solo se sei libero di fare cose senza uno scopo ovvio, senza giustificazione e, soprattutto, al di fuori della dittatura delle convinzioni di qualcun altro.

sabato 14 settembre 2024

Rinascita dell'uomo epimeteico

 Rinascita dell'uomo epimeteico

Una società senza scuola è possibile ?
La scuola obbligatoria,
la scolarità prolungata, la corsa ai diplomi, l'università di massa:
differenti aspetti di quel medesimo falso progresso
che consiste nella preparazione di studenti
orientati al consumo di programmi scolastici e di merci culturali
studiate per imporre il conformismo sociale,
l'obbedienza alle istituzioni e ai suoi manager.


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La nostra società
assomiglia a quella macchina insuperabile che ho visto una volta a New York
in un negozio di gio­cattoli.
Era uno scrigno metallico, che, premendo un pulsante, si apriva
per mostrare una mano meccanica le cui dita cromate si protendevano verso il coper­chio,
lo abbassavano e lo chiudevano a chia­ve dall'interno.
Trattandosi di una sca­tola, ti saresti aspettato che si potesse estrarne qualcosa,
e invece conteneva sol­tanto un meccanismo per chiudere il coper­chio.
Questo bizzarro congegno è il contrario esatto della «scatola» di Pando­ra. 

La Pandora originaria, « Colei che tutto dona »,
era una dea della terra nella Grecia matriarcale della preistoria.
Essa fece scap­pare tutti i mali dal suo vaso (pythos),
ma chiuse il coperchio prima che potesse fuggirne anche la speranza.
La storia del­l'uomo moderno comincia con la degra­dazione del mito di Pandora
e termina con lo scrigno che si chiude da solo.
È la storia dello sforzo prometeico
per creare istituzioni che blocchino l'azione dei mali scatenati.
È la storia dell'affievolirsi della speranza e del sorgere delle aspettative.

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Per capire ciò che questo vuol dire dob­biamo riscoprire la differenza tra speranza e aspettativa. Speranza, nell'accezione piú pregnante, indica una fede ottimistica nel­la bontà della natura, mentre aspettativa, nel senso in cui utilizzerò questo termine, è contare su risultati programmati e con­trollati dall'uomo. La speranza concentra il desiderio su una persona dalla quale at­tendiamo un dono. L'aspettativa attende soddisfazione da un processo prevedibile, il quale produrrà ciò che è nostro diritto pretendere. Oggi l'ethos prometeico ha mes­so in ombra la speranza. La sopravvi­venza della specie umana dipende dalla sua riscoperta come forza sociale.

La Pandora originaria venne mandata sulla terra con un vaso che conteneva tutti i mali, e in piú, come unico bene, la speran­za. Era in questo mondo di speranza che viveva l'uomo primitivo. Egli confida­va, per sopravvivere, nella munificenza del­la natura, nelle elargizioni degli dèi e negli istinti della sua tribú. I greci del­l'e­po­ca classica cominciarono a sostitui­re alla speranza le aspettative. Nella lo­ro versione del mito, Pandora liberava sia i mali che i beni; ma essi la ricordavano so­prattutto perché aveva sguinzagliato i mali nel mondo. E, cosa particolarmente si­gnificativa, dimenticavano che «Colei che tutto dona» era anche la guardiana della speranza. 

I greci raccontavano anche la storia di due fratelli, Prometeo e Epimeteo. Il pri­mo consigliò all'altro di star lontano da Pandora; ma l'altro non gli diede retta e la sposò. Nella Grecia classica il nome «Epimeteo», che significa «colui che capi­sce a posteriori», era considerato un sinoni­mo di «sciocco» o di «ottuso». All'epoca in cui Esiodo rinarrò questa storia nella sua forma classica, i greci erano divenuti dei patriarchi moralisti e misogini, terro­rizzati al solo pensiero della prima donna. Essi costruirono una società razionale e autoritaria. Escogitarono istituzioni con le quali contavano di tener testa ai mali sca­tenati. Scoprirono il loro potere di plasmare il mondo e di fargli produrre ser­vizi che impararono anche ad aspettar­si. Vollero che le proprie necessità e le fu­ture esigenze dei loro figli fossero confor­mate alle loro opere. Divennero legislato­ri, architetti e scrittori, crearono costitu­zioni, città e opere d'arte perché servis­sero da modello alla loro progenie. Men­tre l'uomo primitivo aveva adoperato una partecipazione mitica ai sacri riti per ini­ziare gli individui alle tradizioni della so­cietà, i greci dell'età classica riconosceva­no come veri uomini solo quei cittadini che si lasciavano adattare dalla paideia (educazione) alle istituzioni create dai lo­ro avi. [...]

L'uomo si assunse la responsabilità del­le leggi sotto cui voleva vivere e quella di modellare l'ambiente a propria immagi­ne. L'iniziazione primitiva alla vita miti­ca attraverso la Madre Terra si trasfor­mò nell'educazione (paideia) del cittadino capace di sentirsi a proprio agio nel foro. 

Per il primitivo il mondo era governato dal fato, dai fatti e dalla necessità. Sot­traendo il fuoco agli dèi, Prometeo tramu­tò i fatti in problemi, revocò in dubbio la necessità e sfidò il fato. L'uomo classico formò un contesto civilizzato per una pro­spettiva umana. Era conscio di potere, sí, sfidare il fato; la natura e l'ambiente, ma solo a proprio rischio. L'uomo contempora­neo va oltre: tenta di creare il mondo a propria immagine, di costruire un ambien­te prodotto totalmente dall'uomo, e poi s'accorge che può farlo solo a patto di rifa­re continuamente se stesso per adattarsi ad esso. Dobbiamo ora guardare in faccia la realtà: è l'uomo stesso che è in gioco. [...] 

Poiché non c'è nulla di desiderabile che non sia stato programmato, il ragazzo di città ne arguisce che sapremo sempre inventare un'istituzione per ogni nostro bi­sogno. Riconosce al processo, come un dato di fatto incontestabile, il potere di creare valore. Che si tratti d'incontrare un compagno, d'integrare un quartiere o d'im­parare a leggere, l'obiettivo verrà sem­pre definito in modo tale che la sua rea­lizzazione sia organizzabile tecnica­men­te. L'uomo il quale sa che tutto quan­to è richiesto viene prodotto, ben presto finisce per aspettarsi che niente di ciò che viene prodotto possa non essere richiesto. Se si può progettare un veicolo lunare, al­trettanto è concepibile la richiesta di anda­re sulla luna. Non andare dove si può andare sarebbe sovversivo. Smascherereb­be la follia del principio che ogni richiesta soddisfatta comporti la scoperta di una ri­chiesta ancor maggiore che chiede di esse­re soddisfatta a sua volta. Una rivelazio­ne del genere arresterebbe il progresso. Non produrre ciò che è possibile mettereb­be in luce che la legge delle «aspettati­ve crescenti» è un eufemismo per indicare un abisso di frustrazione sempre piú profondo, che è il vero motore di una so­cietà fondata sulla coproduzione di servizi e di accresciuta domanda. 

Lo stato d'animo dell'abitante della cit­tà moderna figura nella tradizione miti­ca solo nelle immagini dell'inferno. Sisi­fo, che per qualche tempo era riuscito a mettere in catene Thanatos (la morte), de­ve far rotolare un pesante masso su per una collina sino in cima all'Ade, e ogni volta che sta per arrivare alla meta il mas­so gli sfugge di mano. Tantalo che, invita­to a pranzo dagli dèi, rubò loro in quella occasione la ricetta segreta dell'ambrosia che guariva ogni male e conferiva l'im­mor­talità, soffre in eterno la fame e la sete, immerso in un fiume le cui acque si ri­traggono dalle sue labbra e sotto i rami di un albero i cui frutti gli sfuggono. Un mondo di richieste sempre crescenti non è semplicemente un male, lo si può soltanto definire un inferno. 

L'uomo ha conquistato il potere fru­strante di chiedere qualunque cosa perché non riesce a immaginare niente che non possa essergli fornito da un'isti­tu­zione. Circondato da strumenti onnipotenti, è ridotto a essere uno strumento dei propri strumenti. Ogni istituzione nata per esorcizzare uno dei ma­li primitivi è diventata per lui uno scrigno a perfetta tenuta e a chiusura auto­matica. L'uomo è intrappolato nelle scatole da lui costruite per racchiudervi i mali che Pandora si lasciò scappare. L'offuscamento della real­tà ad opera dello smog prodotto dai nostri strumenti ci ha avviluppati tutti. Ci tro­viamo all'improvvi­so nel buio di una trappola fab­bricata da noi stessi. 

Ripreso da: Ivan Illich - Descolarizzare la società (1971)

Approfondimento ulteriore 

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