Sogno di Natale
Un racconto struggente di Pirandello, la cui spiritualità, in queste righe
è declinata sotto l'impulso di varie suggestioni
che vanno dall'ingenua fede popolare al distacco del colto borghese.
che vanno dall'ingenua fede popolare al distacco del colto borghese.
Sentivo da un pezzo sul capo inchinato tra le braccia
come l’impressione d’una mano lieve, in atto tra di carezza e di
protezione.
Ma l’anima mia era lontana, errante pei luoghi veduti fin dalla
fanciullezza,
dei quali mi spirava ancor dentro il sentimento,
non tanto però che bastasse al bisogno che provavo di rivivere,
fors’anche per un minuto,
la vita come immaginavo si dovesse in quel punto svolgere in essi.
Era festa dovunque; in ogni chiesa, in ogni casa: intorno al ceppo,
lassù;
innanzi a un Presepe, laggiù; noti volti tra ignoti riuniti in lieta
cena;
eran canti sacri, suoni di zampogne, gridi di fanciulli esultanti,
contese di giocatori…
E le vie delle città grandi e piccole, dei villaggi, dei borghi alpestri
o marini,
eran deserte nella rigida notte.
E mi pareva di andar frettoloso per quelle vie, da questa casa a
quella,
per godere della raccolta festa degli altri;
mi trattenevo un poco in ognuna, poi auguravo: – Buon Natale – e sparivo…
Ero già entrato così, inavvertitamente, nel sonno e sognavo.
E nel sogno, per quelle vie deserte,
mi parve a un tratto d’incontrar Gesù errante in quella stessa notte, in
cui il mondo
per uso festeggia ancora il suo natale.
Egli andava quasi furtivo, pallido, raccolto in sé,
con una mano chiusa sul mento e gli occhi profondi e chiari intenti nel
vuoto:
pareva pieno d’un cordoglio intenso, in preda a una tristezza
infinita.
Mi misi per la stessa via;
ma a poco a poco l’immagine di lui m’attrasse così, da assorbirmi in sé;
e allora mi parve di far con lui una persona sola.
A un certo punto però
ebbi sgomento della leggerezza con cui erravo per quelle vie, quasi
sorvolando,
istintivamente m’arrestai.
Subito allora Gesù si sdoppiò da me, e proseguì da solo anche più leggero
di prima,
quasi una piuma spinta da un soffio;
ed io, rimasto per terra come una macchia nera, divenni la sua ombra e lo
seguii.
Sparirono a un tratto le vie della città:
Gesù, come un fantasma bianco splendente d’una luce interiore,
sorvolava su un’alta siepe di rovi,
che s’allungava dritta infinitamente, in mezzo a una nera, sterminata
pianura.
E dietro, su la siepe,
egli si portava agevolmente me disteso per lungo quant’egli era
alto,
via via tra le spine che mi trapungevano tutto, pur senza darmi uno
strappo.
Dall’irta siepe saltai alla fine per poco su la morbida sabbia d’una
stretta spiaggia:
innanzi era il mare;
e, su le nere acque palpitanti, una via luminosa, che correva
restringendosi
fino a un punto nell’immenso arco dell’orizzonte.
Si mise Gesù per quella via tracciata dal riflesso lunare, e io dietro a
lui,
come un barchetto nero tra i guizzi di luce su le acque gelide.
A un tratto, la luce interiore di Gesù si spense:
traversavamo di nuovo le vie deserte d’una grande città.
Egli adesso a quando a quando sostava a origliare alle porte delle case
più umili,
ove il Natale, non per sincera divozione, ma per manco di denari
non dava pretesto a gozzoviglie.
– Non dormono…
– mormorava Gesù,
e sorprendendo alcune rauche parole d’odio e d’invidia pronunziate
nell’interno,
si stringeva in sé come per acuto spasimo,
e mentre l’impronta delle unghie restavagli sul dorso delle pure mani
intrecciate,
gemeva: – Anche per costoro io son morto…
Andammo così, fermandoci di tanto in tanto, per un lungo tratto,
finché Gesù
innanzi a una chiesa, rivolto a me, ch’ero la sua ombra per terra, non mi
disse:
– Alzati, e accoglimi in te. Voglio entrare in questa chiesa e
vedere.
Era una chiesa magnifica, un’immensa basilica a tre navate,
ricca di splendidi marmi e d’oro alla volta, piena d’una turba di fedeli
intenti alla funzione che si rappresentava su l’aitar maggiore
pomposamente parato, con gli officianti tra una nuvola d’incenso.
Al caldo lume dei cento candelieri d’argento
splendevano a ogni gesto le brusche d’oro delle pianete
tra la spuma dei preziosi merletti del mensale.
– E per costoro – disse Gesù entro di me –
sarei contento, se per la prima volta io nascessi veramente questa
notte.
Uscimmo dalla chiesa, e Gesù, ritornato innanzi a me
come prima posandomi una mano sul petto riprese:
–
Cerco un’anima, in cui rivivere. Tu vedi ch’io son morto per questo
mondo,
che pure ha il coraggio di festeggiare ancora la notte della mia
nascita.
Non sarebbe forse troppo angusta per me l’anima tua,
se non fosse ingombra di tante cose, che dovresti buttar via.
Otterresti da me cento volte quel che perderai, seguendomi
e abbandonando quel che falsamente stimi necessario a te e ai tuoi:
questa città, i tuoi sogni,
i comodi con cui invano cerchi allettare il tuo stolto soffrire per il
mondo…
Cerco un’anima, in cui rivivere:
potrebbe esser la tua come quella d’ogn’altro di buona volontà.
– La città, Gesù ? – io risposi sgomento. – E la casa e i miei cari e i miei sogni ?
–
Otterresti da me cento volte quel che perderai
– ripetè Egli
levando la mano dal mio petto e guardandomi fiso con quegli occhi
profondi e chiari.
– Ah! io non posso, Gesù…
– feci, dopo un momento di perplessità,
vergognoso e avvilito, lasciandomi cader le braccia sulla persona.
Come se la mano,
di cui sentivo in principio del sogno l’impressione sul mio capo
inchinato,
m’avesse dato una forte spinta contro il duro legno del tavolino,
mi destai in quella di balzo, stropicciandomi la fronte
indolenzita.
È qui, è qui, Gesù, il mio tormento !
Qui, senza requie e senza posa, debbo da mane a sera rompermi la
testa.
- Luigi Pirandello -
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