Pene animiche e virtù
In virtute posita est vera felicitas.
Nella virtù è posta la vera felicità.
Seneca - De vita beata, XVI, 1
Giunto al compimento del suo atto essenziale, un ente è
completamente felice.
Nell’uomo,
composto di animo, anima e corpo, si riduce tutto all’animo, il
vero essere permanente.
La pena che l’anima sperimenta è la “pena di esistere”, dello stare fuori dall’Essere,
nella quale è presente la tensione, il moto psichico alla ricostituzione
nell’Essere.
Questa pena non è quiete, ma inquietudine, è esperienza del limite psichico,
della finitudine dell’attività dell’anima,
della mancanza della piena fruizione della Luce del Vero,
dell’Essere Divino.
Da questa privazione nasce la “ tristitia ”
fondamentale.
Le diverse religioni, che procedono dalle origini paradisiache
e conservano la memoria della perdita della perfezione,
hanno costituito le diverse vie per il recupero della beatitudine
integrale dell’anima,
consentendole di liberarsi dalla soggezione alla malia della dimensione
psichica distintiva
e dalla pena della esistenza.
La società postmoderna
è il prodotto finale dell’alienazione dell’anima dall’Essere Divino
e dalla vita religiosa che conduce ad Esso,
perciò non può che produrre l’annientamento dell’anima
nell’inquietudine abissale della materia tenebrosa,
il cui desiderio, completamente vuoto e vano,
porta al non essere e all’illusione cosmica integrale.
Nessun commento:
Posta un commento