Il Grande Club
La farsa democratica e l’illusione di avere voce
L’idea di vivere in sistemi democratici realmente controllati dai
cittadini
è una favola rassicurante che entra nella testa presto e non se ne va
più.
La impari da bambino, la ripeti da adulto
e la difendi anche quando smette di funzionare, perché ammettere il
contrario fa male.
Intanto la vita reale scorre altrove: lavori di più, guadagni meno,
hai meno tempo, meno spazio, meno futuro.
I parlamenti discutono, i governi parlano, le elezioni passano come stagioni sempre uguali,
mentre il potere vero
resta immobile, concentrato nel controllo del denaro, del credito e
dell’informazione.
Tutto ciò che vedi è scenografia, costruita per farti sentire
coinvolto
mentre le decisioni vengono prese lontano, senza di te.
Le domande che affiorano non sono astratte, toccano nervi scoperti.
Perché ti senti sempre più stanco e impotente,
anche quando fai “tutto quello che ti chiedono” ?
Perché cambi governo ma la tua vita non migliora ?
Ogni crisi richiede più obbedienza, più sacrifici, sempre da parte
tua.
I politici li disprezzi,
ma continui a obbedire alle istituzioni come se fossero
inevitabili.
Governi che si proclamano sovrani approvano le stesse leggi negli stessi
momenti,
e tu sei invitato ad adattarti, non a capire. Non è una svista: è il
meccanismo.
Il nodo centrale è semplice e spietato, ed è proprio per questo che viene
evitato.
Tutti dicono che il denaro governa il mondo,
ma pochi reggono lo sguardo quando si chiede chi governi il denaro.
Banche centrali lontane da ogni controllo reale, mercati trattati come
divinità,
debito trasformato in colpa permanente.
Vivi con la sensazione di dover sempre recuperare, di essere in
ritardo.
In questo schema i governi non decidono:
amministrano la tua fatica, il tuo tempo, la tua paura.
È qui che emerge la frattura più disturbante,
quella che senti nello stomaco prima ancora che nella testa.
Ciò che per te sarebbe un crimine diventa lecito se compiuto dallo
Stato.
Se rubi sei un ladro, se lo fanno loro è una tassa.
Se uccidi sei un assassino, se lo fanno loro è una missione.
La violenza non scompare, viene normalizzata, mentre la tua privacy si dissolve
e il potere si nasconde dietro segreti ed emergenze permanenti.
Il punto, reso celebre da George Carlin, non è cinico: è
realistico.
Esiste un club ristretto che decide le cose che contano davvero, e tu non
ne fai parte.
Non perché sei stupido, ma perché non è previsto.
Cambiare partito, leader o slogan non sposta nulla di sostanziale.
È come scegliere il colore delle tende in una casa che non
possiedi.
Il voto diventa un rito che ti restituisce per un attimo la sensazione di
contare,
giusto il tempo di tornare alla vita di prima.
Quando questo diventa chiaro, crolla anche l’ultima illusione:
quella della riforma salvifica.
I grandi movimenti e le opposizioni rumorose
finiscono quasi sempre per fare lo stesso lavoro:
assorbire la rabbia, incanalarla, stancarla,
mentre tutto continua a funzionare come prima.
La conclusione non consola, perché non promette redenzioni
collettive.
Il sistema non si combatte frontalmente:
è troppo grande, troppo ricco, troppo armato.
Si aggira. Si svuota di significato nella propria vita.
Relazioni reali invece di reti artificiali.
Autonomia invece di dipendenza. Scambi concreti invece di fiducia
cieca.
Non per salvare il mondo, ma per salvare se stessi e chi ti sta
vicino.
Il tono resta sprezzante perché parla a una parte che conosci bene:
quella che sa già che qualcosa non torna, ma continua ad andare avanti per
inerzia.
Nessuno verrà dall’alto a sistemare le cose.
Nessuno ti restituirà tempo, dignità o futuro se non inizi a
sottrarti.
Il sistema non è una minaccia futura, è già qui, vive delle tue abitudini e prospera
soprattutto quando smetti di ascoltare quel disagio sottile che senti
crescere dentro.
- Carmen Tortora -

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