Suggerimento

Se hai ragione non hai bisogno di gridare.

S. Paolo : " Vagliate tutto e trattenete ciò che vale "
B. Pascal : " Sia il consenso della vostra ragione e non quella degli altri che vi conduca a credere "
T. de Chardin : Basta che la Verità appaia una sola volta, in una sola mente, perché nulla possa più impedire d'invadere tutto e d'incendiare tutto "
Di mio sento solo di aggiungere che : la Verità non necessita di essere sostenuta da proselitismo ... bensì ... essere semplicemente enunciata e testimoniata.
Essa è sempre coerente con sé stessa e trova per sua stessa natura quale sia il modo più opportuno e la circostanza più adatta per rivelarsi.
E' solo questione di tempo.

Da considerare anche che, una volta conosciuta, la Verità rende sicuramente liberi, ma, in alcune circostanze, niente affatto sicuri.

SAPERE AUDE !

ET SI OMNES EGO NON

Testo scorrevole

► Solo chi porta in sé l’Impronta si riconoscerà a vicenda. Segno lampante d’identificazione lasciato dalle cicatrici del Passato.

venerdì 13 gennaio 2017

Breve storia della Verità - 3

Breve storia della Verità - 3

La Scolastica
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La logica, vera ferramenta della conoscenza,
raggiunse la perfezione con Aristotele e il suo Organon (Gk = ferramenta).
La si applicò nelle scuole per la formazione dei presbiteri,
prima vescovili e poi cattedrali, nate e gestite per lo scopo.

E per mille anni logica, grammatica e retorica formarono il Trivio,
l’ossatura dell’istruzione nella Cristianità.
Il Quadrivio : aritmetica, geometria, musica ed astronomia
facevano da fonte di informazioni sulle quali applicare le ferramenta della conoscenza.

San Tommaso aveva ammonito :
" Lo studio della filosofia non è fatto per conoscere quello che pensano gli uomini,
ma la verità delle cose.[2]


E aveva notato, al principio della Contra Gentes,
che “... è del sapiente ordinare ”,
cioè che l’ordine è la conditio sine qua non della ricerca filosofica.

Non aveva proposto che codesti principio e metodo
dovessero essere applicati esclusivamente alla teologia, ma così avvenne.
La teologia, considerata -non a torto- come la regina dello scibile,
rimase il solo campo di applicazione della filosofia;
il detto scolastico philosophia ancilla theologiae
impedì di arrivare, come si sarebbe dovuto,
a capire che dovesse essere ancilla omnium scibilium,
cioè uno strumento capace di imporre ordine a tutti i livelli della realtà,
non ultimi quelli delle scienze :
diritto, economia, politica, medicina, fisica e un lungo eccetera
che tempo e spazio non permettono di esaurire qui.
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Il secolo XIV
vide gli Umanisti paganeggianti in assetto di guerra contro la cultura cattolica,
specialmente la morale che consideravano restrittiva della libertà umana.
Costoro capivano perfettamente come la filosofia scolastica
facesse da baluardo inespugnabile
eretto nei secoli attorno alla fede e alla morale cattoliche,
per cui ne fecero il loro bersaglio preferito.

Ma ciò era impossibile dialetticamente,
cioè con un pensiero rigoroso che facesse uso di strumenti altrettanto rigorosi.
Fecero uso del dileggio, l’insulto, le mezze verità, sofismi triti e ritriti, ecc...

Al dileggio degli Umanisti si aggiunse la rivolta più propriamente filosofica
con l’attacco agli universali di Ockham (1280 -1349).
Come nota Weaver [3], dal negare gli universali si arrivò a negare la verità;
ciò richiese una nuova dottrina della natura, con il diniego del peccato originale,
dell’affermazione della supremazia della ragione,
della sopravvivenza del più dotato come causa causans,
dell’economia come forza trainante delle intenzioni umane,
arrivando così dall’essere creato a immagine e somiglianza di Dio
a uno ridotto a consumatore puro e duro.

L’attacco alla verità indusse gli scolastici,
se per codardia o debolezza intellettuale non è dato sapere,
a seguire l’esempio degli Umanisti.
Entrambi si occuparono sempre meno di verità e sempre più di forme.
I cultori del rinascimento dei canoni pagani fecero rivivere la letteratura e le arti classiche;
gli scolastici invece fecero slittare la logica da vere loqui arecte loqui,
trasformandola a poco a poco in grammatica.

La perdita del principio e metodo scolastici è stata esiziale,
ma continua a passare inosservata ai più.
Un breve, necessariamente incompleto, excursus fa al caso nostro.

La prima a soffrirne fu la stessa filosofia.
Facendo caso omesso dell’ammonimento dell’Aquinate,
l’anti-intellettualismo di Ockham condusse necessariamente a Locke, Hobbes e Hume
lungo la direttrice empirista e a Descartes, Kant e Hegel lungo quella idealista.


Da una filosofia con un corpus di dottrina, principio e metodo
si arrivò a una moltitudine di sistemi,
ognuno costruito a partire da zero dal suo ideosofo. [4]

Quello che usurpa il nome di filosofia
oggi non si occupa di verità alcuna, ma di … filosofia.
Le cosiddette "facoltà" sono come altrettante officine meccaniche
equipaggiate con le macchine utensili più efficienti,
dove si discute sulla modalità di uso e l’efficienza di torni, fresatrici, seghe a nastro,
e tutto l’armamentario tecnologico a loro disposizione,
ma nell’assenza più completa di materie prime su cui lavorare :
legno, metalli ferrosi e non ferrosi, plastiche ecc ... 
Prestigiosissimi "filosofi" scrivono di colleghi vivi o defunti altrettanto prestigiosi,
viaggiando perfino ai loro paesi di origine
per potere consultare i loro scritti “nella lingua originale”.
A che pro ? O a pro di chi ?
Evidentemente di filosofi, gli unici a capire il filosofese,
e capaci di scambiarsene le “conquiste”.
E pubblicano tomi ponderosi destinati a raccogliere polvere
negli scaffali di qualche biblioteca dove vengono letti forse una o due volte per secolo.

Il sopra detto lo fanno addetti ai lavori che si autoproclamano Tomisti (!).
Non sta a me giudicare se abbiano mai letto - o capito -
l’ammonimento di S.Tommaso citato all’inizio.

Per i non-Tomisti c’è solo l’imbarazzo della scelta
circa le ilarità che rifilano come “ filosofia. 
Una di costoro che va per la maggiore
ha recentemente pontificato su “ sentimenti politici 
elencando come tali (anche)
la compassione, il disgusto, la paura, l’invidia e la vergogna,
senza naturalmente darsi la pena di definirle.

A farlo, con una elementare classifica di fattura scolastica, avrebbe notato che :

1. La compassione non è un sentimento, ma una virtù eminentemente cristiana :
gioire con chi gioisce e soffrire con chi soffre.
È completamente assente dall’induismo,
che considera la sofferenza altrui ben meritata
per aver fatto chissà che magagna durante una reincarnazione precedente;
non parliamo poi del paganesimo :
non vi è un solo esempio di compassione nei nove libri di Erodoto.

2. Il disgusto e la paura sono sì sentimenti ( rectius passioni )
il primo concupiscibile e la seconda irascibile,
ma che come tutte e undici che sono,
da educare con la volontà illuminata dalla ragione.
Specialmente la seconda, se soppressa contro natura, diviene letale :
è recentissima la notizia di un intrepido venticinquenne
sfracellatosi con il suo passeggero dopo un volo di 300 metri
dopo aver infranto il guardrail a velocità folle lungo una strada alpina.

3. L’invidia, da non confondere con l’emulazione,
è un vizio capitale, consistente nel rattristarsi per il successo altrui.
Se quel successo è di natura spirituale, l’invidia è peccato mortale,
come insegna(va)no i trattati di teologia morale.
Che poi sia l’opposto di equità, come afferma la Nostra,
è impossibile affermare senza definire quest’ultima.

4. La vergogna è una sensazione, oggi largamente soppressa.
La stessa filosofa sorride in minigonna (a 63 anni)
nell’articolo a lei dedicato da Wikipedia, con completo sprezzo del ridicolo.
Chi si vergogna oggi, e di che ?
Perché poi afferma che “ ... frustra le aspirazioni di solidarietà ?”

A chi riceve istruzione filosofica (dove questa esiste)
viene ammannita una “storia della filosofia”,
sciorinatura noiosissima di caratteri succedutisi cronologicamente,
ma senza mai indicare chi avesse dato nel segno e chi no, e perché.

La logica, divenuta inutile, è stata paulatinamente messa alla porta, per cui
ragionamenti su tutto ciò che ha da fare con lo scibile umano hanno raggiunto livelli infimi,
castigati da Hilaire Belloc (1870-1953) e Dorothy Sayers (1893-1957) ben 100 anni fa.

Diceva il primo :


" È tutt'affatto incredibile che uomini come Mr Asquith e Mr Lloyd George,
Mr Balfour e Mr F.E.Smith possano in qualunque circostanza
proferire le imbecillità che costantemente adornano i loro discorsi pubblici.
Non parlerebbero così a una cena, o nei loro club.
Ma lo standard intellettuale in politica è così basso che
uomini di capacità mentale media devono piegarsi in due per raggiungerne il livello [5].

Aggiungeva la seconda :


" Avete mai provato
ad assistere a un dibattito tra persone adulte e presumibilmente responsabili ?
Vi ha inquietato comprovare la straordinaria incapacità dell’interlocutore medio
di concentrarsi sull’argomento, o di affrontare e confutare quello dell’opposizione ?
Avete a volte ponderato l’alta incidenza di materiale del tutto irrilevante
che sorge durante discussioni di gruppo, o quanto rare
siano le persone veramente capaci di presiedere a tali discussioni ?
Riflettendo che la maggior parte delle questioni di Stato
viene decisa in riunioni e dibattiti di questo tipo,
non si prova a volte un certo senso di vuoto allo stomaco ?[6]

Errori filosofici di confusione, separazione e riduzione,
generalmente seguenti all’abbandono della verità,
infarciscono ogni campo dello scibile e del fattibile.
Ci si rifila come “fatto” l’evoluzione,
un vero insulto (se non beffa) alle leggi della chimica
e remora a quelle biologiche specialmente tassonomiche;
si sbandiera una cosmologia costretta a inventarsi “buchi neri” inesistenti
per fare caso omesso dell’elettricità,
con forze 39 ordini di grandezza superiori alla gravità; eccetera.

Dall’abbandono della verità si è passati prima all’avversione
e da questa a un odio viscerale sempre più vivo e vegeto verso essa.

Silvano Borruso
- da Accademia della Libertà -
continua
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[2] Studium philosophiae non est ad hoc quod sciatur quid homines senserint,
sed qualiter se habeat veritas rerum.
In I de coelo et mundo, lectio 22 n.8
[3] Richard, 1910-1963. Le Idee Hanno Conseguenze, 1949.
[4] Termine usato da J.Maritain, che viene al caso.
[5] The Party System, Stephen Swift 1911 p. 172.
[6] Le Ferramenta Perdute della Conoscenza, Lectio Magistralis, Oxford 1947

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