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giovedì 26 ottobre 2017

Ozio, lavoro e dignità

Ozio, lavoro e dignità

Sulla " glorificazione " del lavoro

È di moda, nella nostra epoca, esaltare il lavoro,
quale che sia e in qualunque modo lo si compia,
come se avesse un valore eminente di per sé
e indipendentemente da ogni considerazione d’altro ordine;
è il soggetto d’innumerevoli declamazioni tanto vuote quanto pompose,
non solo nel mondo profano, ma anche, cosa ben più grave,
nelle organizzazioni iniziatiche rimaste in Occidente.

È facile capire che questo modo di considerare le cose si riallaccia direttamente
all’esagerato bisogno d’azione caratteristico degli Occidentali moderni;
infatti, il lavoro,  almeno quando lo si considera in questo modo,
evidentemente altro non è che una forma dell’azione,
e una forma alla quale, d’altra parte, il pregiudizio moralista
 esorta ad attribuire un’importanza ancora maggiore a qualsiasi altra,
essendo quella che meglio si presta
a essere presentata in veste di “ dovere ” per l’uomo
e tale da contribuire ad assicurare la sua “ dignità

Il più delle volte a ciò si aggiunge un’intenzione nettamente antitradizionale,
quella di disprezzare la contemplazione, che si finge d’assimilare all’ “ ozio ”,
mentre, al contrario,
essa è in realtà l’attività più elevata che si possa concepire,
 e d’altronde l’azione separata dalla contemplazione
non può essere che cieca e disordinata.

Tutto ciò si spiega fin troppo facilmente da parte d’uomini
che dichiarano, senza dubbio sinceramente, che
« la loro felicità consiste proprio nell’azione »
noi diremmo volentieri nell’agitazione,
giacché, quando l’azione è presa così come fine a se stessa,
quali che siano i pretesti “ moralisti ” invocati per giustificarla,
essa non è davvero niente più di quello.

Contrariamente a quel che pensano i moderni, un lavoro qualsiasi,
compiuto indistintamente da chiunque, e unicamente per il piacere d’agire
o per la necessità di “ guadagnarsi la vita ”,
non merita per niente d’essere esaltato,
e pure non può essere considerato che come una cosa anormale,
opposta all’ordine che dovrebbe reggere le istituzioni umane,
al punto che, nelle condizioni della nostra epoca,
arriva troppo sovente ad assumere un carattere che si potrebbe,
senza esagerazione alcuna, qualificare come “ infra-umano ”.

Quel che i nostri contemporanei sembrano ignorare completamente,
è che un lavoro non ha reale valore
se non quando è conforme alla natura stessa dell’essere che lo compie,
se ne risulta in modo diciamo spontaneo e necessario,
sì da essere per tale natura il mezzo per realizzarsi il più perfettamente possibile.
Ecco, in definitiva, la nozione stessa di swadarma,
che è il vero fondamento dell’istituzione delle caste,
e sulla quale abbiamo sufficientemente insistito in tante altre occasioni
da poterci accontentare di ricordarla senza dilungarci oltre.
[...]
- René Guenon -
Initiation et Réalisation spirituelle
Éditions Traditionnelles
Paris, 1952, cap. X.

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