Ozio, lavoro e dignità
Sulla " glorificazione " del lavoro
È di
moda, nella nostra epoca, esaltare il lavoro,
quale
che sia e in qualunque modo lo si compia,
come
se avesse un valore eminente di per sé
e
indipendentemente da ogni considerazione d’altro ordine;
è il
soggetto d’innumerevoli declamazioni tanto vuote quanto pompose,
non
solo nel mondo profano, ma anche, cosa ben più grave,
nelle
organizzazioni iniziatiche rimaste in Occidente.
È
facile capire che questo modo di considerare le cose si riallaccia direttamente
all’esagerato
bisogno d’azione caratteristico degli Occidentali moderni;
infatti,
il lavoro, almeno quando lo si considera
in questo modo,
evidentemente
altro non è che una forma dell’azione,
e una
forma alla quale, d’altra parte, il pregiudizio moralista
esorta ad attribuire un’importanza ancora
maggiore a qualsiasi altra,
essendo
quella che meglio si presta
a
essere presentata in veste di “ dovere ”
per l’uomo
e
tale da contribuire ad assicurare la sua “
dignità ”
Il più
delle volte a ciò si aggiunge un’intenzione nettamente antitradizionale,
quella
di disprezzare la contemplazione, che si finge d’assimilare all’ “ ozio ”,
mentre,
al contrario,
essa
è in realtà l’attività più elevata che si possa concepire,
e d’altronde l’azione separata dalla
contemplazione
non
può essere che cieca e disordinata.
Tutto
ciò si spiega fin troppo facilmente da parte d’uomini
che
dichiarano, senza dubbio sinceramente, che
« la loro felicità consiste proprio
nell’azione »
noi
diremmo volentieri nell’agitazione,
giacché,
quando l’azione è presa così come fine a se stessa,
quali
che siano i pretesti “ moralisti ”
invocati per giustificarla,
essa
non è davvero niente più di quello.
Contrariamente
a quel che pensano i moderni, un lavoro qualsiasi,
compiuto
indistintamente da chiunque, e unicamente per il piacere d’agire
o per
la necessità di “ guadagnarsi la vita ”,
non merita
per niente d’essere esaltato,
e
pure non può essere considerato che come una cosa anormale,
opposta
all’ordine che dovrebbe reggere le istituzioni umane,
al
punto che, nelle condizioni della nostra epoca,
arriva
troppo sovente ad assumere un carattere che si potrebbe,
senza
esagerazione alcuna, qualificare come “ infra-umano
”.
Quel
che i nostri contemporanei sembrano ignorare completamente,
è che
un lavoro non ha reale valore
se
non quando è conforme alla natura stessa dell’essere che lo compie,
se ne
risulta in modo diciamo spontaneo e necessario,
sì da
essere per tale natura il mezzo per realizzarsi il più perfettamente possibile.
Ecco,
in definitiva, la nozione stessa di swadarma,
che è
il vero fondamento dell’istituzione delle caste,
e
sulla quale abbiamo sufficientemente insistito in tante altre occasioni
da
poterci accontentare di ricordarla senza dilungarci oltre.
[...]
- René Guenon -
Initiation et Réalisation spirituelle
Éditions Traditionnelles
Paris, 1952, cap. X.
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