Ricordo
da giovane studente del ginnasio e del liceo classico
l'
obiezione che ricevevo spesso dai miei amici che frequentavano altre scuole
e
che anch' io, non di rado, muovevo a me stesso :
ma
a che servono il greco e il latino ?
Perché
tanto dispendio di energie per studiarli ?
Era
il tempo in cui l' inglese
non
aveva ancora assunto l' importanza ( per non dire l' invadenza ) odierna,
il
tempo in cui l' informatica non la conosceva nessuno
perché nessuno aveva un
personal computer, eppure già allora
l' obiezione procedeva come un tarlo nella
mente :
il
greco e il latino, ma non sarebbe meglio studiare altro al loro posto ?
Le
risposte che ricevevo a scuola non mi convincevano,
e devo dire che non mi
convincono neppure oggi.
La
più ricorrente era quella secondo cui
il greco e il latino " aprono la
mente ", o " aiutano a ragionare ", il che penso sia vero,
ma forse
lo stesso non avviene con la matematica, la geometria, la filosofia,
le lingue
moderne e ancora vive, la musica ?
E
quindi perché occuparsi così tanto del latino, e per nulla della musica ?
Perché
non aprirsi la mente
con qualcosa che poi nel prosieguo della vita e della
carriera si rivelerà più utile?
Poi
ho compreso che in realtà
il greco e il latino dispiegano veramente il loro
senso per l' oggi, solo se,
conformemente alla grande intuizione della civiltà
classica di cui essi sono la voce,
si esce dalle categorie dell' utile e del
necessario,
cioè da quella sfera che con una parola sola i latini chiamavano
negotium,
e si entra nella sfera contrapposta denominata otium.
Il
che significa : alla domanda a cosa servono il greco e il latino
la risposta più
onesta e più convincente è : a nulla.
Esattamente
in questa educazione all' indisponibilità sta il loro ineguagliabile servizio.
Ovviamente
non è del tutto vero che il greco e il latino non servono a nulla.
Oltre ad
aprire veramente la mente a chiunque li pratichi,
a noi italiani, che parliamo
una lingua che del latino è la continuazione ininterrotta,
le lingue classiche
fanno conoscere le radici della nostra lingua,
e quindi di noi stessi, della
nostra storia e della nostra civiltà.
Penso
non ci sia bisogno di convincere nessuno del fatto che
per conoscere veramente
il presente, e quindi per agire fruttuosamente sul futuro,
occorra conoscere il
passato.
E il passato non è fatto solo di date, ma anche di linguaggio,
di
strutture grammaticali e sintattiche.
Non avete mai provato una particolare
allegria della mente
scoprendo l' etimologia di una parola usata spesso senza
pensarci ?
Prendiamo per esempio proprio il verbo pensare.
L' italiano
" pensare " viene da " pesare "
( da cui i sinonimi
" soppesare ", " ponderare " )
mentre in latino pensare si dice
" cogitare ",
verbo che rimanda a cum-agitare, cioè a una sorta di
conflitto interno
da cui nasce quella irrequietezza della mente chiamata
pensiero.
La
nostra mente non si arricchisce almeno un po'
quando prende consapevolezza
dell' origine delle parole di cui fa uso ?
Il
punto vero però non è questo, il punto vero è l' otium.
Com'é noto, l' otium
latino non è l' ozio italiano, ma è il tempo libero,
o per meglio dire il tempo
liberato dal lavoro,
e dedicato alla lettura, allo studio, alla riflessione.
Non è inattività, ma un altro tipo di attività.
Ciò che Aristotele diceva della
filosofia,
a mio avviso si può dire oggi dell' intera civiltà classica :
" Come diciamo uomo libero colui che è fine a se stesso e non è asservito
ad altri,
così questa sola, tra tutte le scienze, la diciamo libera :
essa sola,
infatti, è fine a se stessa.
Tutte le altre scienze saranno più necessarie di
questa,
ma nessuna sarà superiore " ( Metafisica, I, 2).
Nell'
epoca dell' uomo a una sola dimensione (cfr. Herbert Marcuse, 1964)
nella quale
giorno dopo giorno sempre più precipitiamo,
la civiltà classica ci ricorda che
noi siamo, o meglio possiamo essere, a più dimensioni,
e che la verità di noi
stessi
l'attingiamo quando giungiamo a trascendere il piano della mera
utilità.
A
suo tempo Kant introdusse la geniale distinzione tra prezzo e dignità col dire
che
" ciò che concerne le inclinazioni e i bisogni generali degli uomini ha
un prezzo di mercato
ma ciò che costituisce la condizione necessaria
perché
qualcosa possa essere un fine in sé,
non ha soltanto un valore relativo o
prezzo, ma un valore intrinseco, cioè dignità "
( Fondazione della
metafisica dei costumi, BA 77 ).
Sto
dicendo che nella difesa della cultura classica,
e del luogo che ne è il
simbolo cioè il liceo classico,
si gioca la grande partita dell' umanesimo, di
chi vogliamo essere veramente :
se solo faber, o ancora, nonostante tutto,
sapiens.
- Vito Mancuso -
Imparare dall'antichità
La Repubblica
12 Genn 2018
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