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venerdì 30 ottobre 2020

Tino Aime

Tino Aime

Vedere quello che non c’è.
Mostrare quel che c’è, ma non si vede.
Una missione : condotta fino in fondo, per tutta la vita
come un dovere segreto una promessa impossibile da estinguere.
Tutto nasce da una strana confidenza, che avvicina all’invisibile.
Narrazioni sottili, la finezza laconica dell’haiku.
Ovunque espressa : nella solarità mediterranea del Ponente ligure
nei deserti spagnoli dell’Estremadura, nel bianco abbacinante dell’Andalusia.
E tra le lande dell’amatissima Provenza dove Tino, ancora giovane, fu scelto
– per elezione –
dalla chiassosa banda dei gitani, il favoloso popolo migrante
alle prese coi festeggiamenti della loro regina
sulla spiaggia che ricorda il leggendario sbarco delle Marie venute dal mare
appena dopo il supplizio del Calvario.
Tra i misteri di Tino Aime, il Battista cuneese, la passione con la quale
– da laico irriducibile –
ha offerto la sua arte alla simbologia spirituale, religiosa, con Cristi crocefissi
– plastici, inteneriti – 
che adornano abbazie, chiese, cappelle di montagna.
[...]
Era anche amaro, a volte, il vecchio Tino.
Scoraggiato, dalla barbarie incorreggibile del mondo.
Siate onesti, ha mandato a dire – di recente – a una scolaresca di artisti in erba.
E state in guardia : non fidatevi di quel che vi raccontano.
Tino ha ascoltato tutti, ma poi ha sempre scelto in solitudine.
Sapeva cosa fare, dove andare. Quali verità evocare, sapendole tacere.
Usava specchi, per incidere le lastre.
Come Leonardo, conosceva l’arte del contrario – certo che il tutto, poi
si rivelasse alla distanza, senza strappi.
Niente e nessuno in prima fila, mai, nel suo mosaico :
parti dell’armonia, l’insieme risuonante.
Amava lavorare a suon di musica, spesso sceglieva Bach.
Ha frequentato – in buona compagnia, la sua – il gran paese
da cui scendono silenzi e sogni.
Quelli rimasti qui non svaniranno, grazie a lui.

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