Abbi il coraggio di conoscere !
  È una delle esortazioni latine che impattano con maggiore violenza in
    questi tempi
  così poveri di valori umani, di saggezza e conoscenza.
  Non è un caso, infatti,
  se la convulsa società postmoderna nella quale ci troviamo costretti a
    vivere
  è contraddistinta da un costante processo di delega,
   che prende il via dalla prima età della ragione
  e si conclude al tramonto della nostra vita.
  Man mano che cresciamo,
  veniamo invitati a delegare le nostre
    facoltà intellettive, emotive, economiche,
  politiche, sanitarie e sociali ad un elemento terzo,
  che si ripromette di gestire nel migliore dei modi
  ciò che il singolo viene reputato incapace di amministrare
    correttamente.
  Accade così che, al primo problema di coppia,
  corriamo dal terapeuta a raccontare i dettagli della nostra vita
    intima,
  con la speranza che la solenne figura professionale
  si trasformi in una sorta di Cupido,
  in grado di far scoccare la scintilla di un amore mai sbocciato.
  Non appena cominciamo a percepire una piccola rendita fissa,
  ecco manifestarsi alla nostra porta investitori, assicuratori, broker e
    consulenti,
  ai quali deleghiamo il nostro piccolo patrimonio,
  confidando di veder sorgere nel nostro giardino
  la proverbiale pianta di fagioli magici.
  Deleghiamo le nostre opinioni
    al giornalista di turno, il nostro sapere
  a chi ci ha farcito il cervello come un tacchino ripieno,
  deleghiamo persino il nostro corpo alla casa farmaceutica
  che promette di proteggerci e guarirci in cambio dei nostri risparmi.
  Noi umani della classe moderna deleghiamo tutto e tutti,
  fino al punto che anche una fake news, se ci arriva bella e pronta
  ... ci crediamo !
  Non esiste ormai un solo aspetto della nostra vita
  che non si trovi condizionato dalla presenza di un esperto
  ( spesso sedicente tale )
  in grado di guidarci verso l’utilizzo delle nostre funzioni.
  Stretti nella morsa del terrore di sbagliare, di fallire, di provare
    dolore,
  preferiamo cedere a qualcun altro le sorti della nostra quotidianità,
  con l’unica consolazione che, qualora le cose si dovessero mettere
    male,
  quantomeno avremo
    qualcuno da incolpare per le
    nostre misere sorti.
  Se fino a pochi decenni fa, il processo di delega perenne
  investiva, tuttavia,
  principalmente gli aspetti materiali e pratici delle nostre vite,
  la nascente distopia orwelliana
  sta ormai assorbendo anche le nostre facoltà intellettive.
  Pensare, studiare e conoscere
  ci appaiono ormai alla stregua di
    attività rischiose,
  quasi quanto nascondere i soldi sotto il letto di casa
  o guidare un’automobile senza aver prima preso la patente.
      Se provassimo a conoscere il mondo con i nostri occhi, senza il filtro
        della perenne propaganda bipartisan che ammorba le nostre vite,
        correremmo infatti il rischio di scoprire come lo specchio in cui ci
        rimiriamo al mattino risulti deformato e distorto. L’immagine che
        le nostre misere certezze ci
        rimandano è diventata ormai troppo importante per la nostra serenità e
        la sola idea di metterla in crisi ci fa sentire
        smarriti e attoniti.
    
    
      Come eterni infanti, ci consultiamo con il nostro maître à penser preferito, per
        sapere quale opinione dobbiamo farci e per conoscere tutti i dettami
        dell’ortodossia imperante, ai quali dobbiamo silenziosamente adeguarci.
        Cerchiamo la verità nelle parole di chi dispensa dottrine per
          mestiere
        e ci abbeveriamo alla fonte della conoscenza solo quando il pastore ci
        fa cenno, con la sua mano benevola, di avvicinarci alla sorgente perché
        l’acqua è potabile.
    
    
      Persino quando le “verità” diffuse dai media (e dal loro
        immancabile esercito di esperti improvvisati) contrastano apertamente
        con la nostra più comune esperienza e con
        il buon senso, fatichiamo a staccarci dalle “versioni ufficiali” del momento
        e corriamo a nascondere la testa sotto la sabbia per non guardare la
        luce del sole.
    
    
      Il filosofo e scrittore tedesco Ernst Jünger sosteneva a gran
        voce che la civiltà della tecnica e dell’automatismo avrebbe
        paradossalmente generato un’epoca in cui la sapienza dell’uomo comune,
        incontrato per strada o su di un autobus, avrebbe superato di gran lunga
        quella degli esperti e delle loro dottrine,
        avulse da ogni contatto con la realtà.
    
    
      Come in un’antica profezia, quell’epoca si è ormai manifestata da
        tempo, senza che ce ne accorgessimo, mentre rimaniamo
        prigionieri di formule senza senso e algoritmi disumani che
        contraddicono apertamente tutto quanto possiamo osservare con i nostri
        occhi e toccare con le nostre mani. L’unica strada per preservare la
        nostra umanità, di fronte al costante processo di automatizzazione,
        fondato sulla delega e sul culto della tecnica, è quella che conduce in
        direzione di una
        conoscenza autentica, pura e cristallina, proprio perché non mediata e non filtrata.
        Sapere Aude !
    
    
      «
        L’Illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli
          deve imputare a se stesso. Minorità è l’incapacità di valersi del
          proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stessa
          è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto di
          intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso
          del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude!
          “Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza ! È
          questo il motto dell’Illuminismo.»
    
    
      ( Immanuel Kant – “ Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo ? ” )
    
    
      Nella sua battaglia
        per portare la luce nelle tenebre dell’ignoranza e del dogma,
        sosteneva il filosofo tedesco
        Immanuel Kant che l’essenza
        stessa dell’Illuminismo risiede nel
        coraggio di fare buon uso del nostro intelletto, di avere l’audacia
          di conoscere. Il nostro intelletto, se solo venisse impiegato senza timore,
        potrebbe da solo spezzare via tutte le catene che ci tengono ancorati
        alla paura perenne in cui ci troviamo a vivere.
    
    
      Cercare di
        conoscere la realtà per
        quello che è davvero (e non per quello che vorremmo che fosse) ci
        conduce in direzione di un processo di liberazione da tutti gli
        oscurantismi che, fin dall’alba dei tempi, ci relegano a una condizione
        di subalternità nei confronti del potente di turno.
    
    
      Per conoscere, scoprire e sapere occorre coraggio –
        Sapere Aude ! – perché ogni
        conoscenza porta in dote il rischio di una forte delusione, di
        isolamento sociale e di quel vuoto che ci attanaglia quando ci rendiamo
        conto di essere stati ingannati e manipolati.
    
    
      La paura è parte integrante del processo di conoscenza, perché
        conoscere significa essere disposti a rinunciare alle nostre comode
        certezze e mettere in crisi quel sistema di pensiero che finge di
        sorreggerci in ogni piccolo passo che compiamo nel corso della nostra
        vita.
    
    
      La conoscenza segna l’inizio di una metaforica “maggior età”
          della nostra vita interiore, e quando iniziamo a conoscere e ad usare il nostro intelletto,
        percepiamo come superflui i consigli civici su ciò che è “giusto o sbagliato”, “buono o cattivo”. Conoscendo e sperimentando la realtà
        diventiamo
        padroni di noi stessi, ci riappropriamo di ciò che è nostro per diritto di nascita e che
        nessun governo può sottrarci: la facoltà di guardare in faccia la realtà
        e di
        sviluppare una visione del mondo che sia nostra e nostra soltanto; priva di inquinamento, retorica e manipolazione. Conoscere non
        significa, ovviamente, poter maneggiare in breve tempo ogni disciplina
        con la precisione e la sapienza degli esperti, ma significa avere
        l’umiltà di usare l’intelletto per discernere
        ciò che è utile per noi, da ciò che palesemente non lo è.
    
    
      Conoscere vuol dire "pesare" le parole del sacerdote, del
        sedicente ricercatore, del politico e del giornalista alla luce di ciò
        che possiamo vedere e di ciò che sappiamo, perché lo abbiamo imparato
        scoprendo, cercando, combattendo la nostra battaglia contro il dogma e
        l’oscurantismo.
    
    
      Quando facciamo buon uso delle nostre facoltà, affermiamo con forza
        la nostra natura umana, perché, se sicuramente possiamo (e dobbiamo) delegare molte delle
        nostre funzioni a chi ne sa più di noi e non possiamo pretendere di
        trasformarci in medici, avvocati o assicuratori dalla mattina alla sera,
        esiste qualcosa che resterà per sempre esente da ogni possibile
        delega.
    
    
      Esiste qualcosa dentro di noi che non può essere ceduto a nessun
        prezzo, né demandato per procura: quel qualcosa è
        il coraggio di conoscere, pensare e sviluppare opinioni indipendenti.
    
    
      Sapere Aude. Appunto.
    
    - Tragicomico - 28 Giugno 2022

Nessun commento:
Posta un commento