La morte è solo terrena
Pur trattandosi di una tesi steineriana che si può confutare
condividere o rifiutare
vale pur sempre la pena meditarne i suoi contenuti.
Il rapporto tra la vita e la morte viene spesso equivocato.
In scritti teosofici si trova di frequente l’osservazione secondo la
quale
l’essenza dello spirito e dell’anima umana potrebbe svanire
completamente.
Viene detto, ad esempio
che a causa di una certa quantità di male che l’anima dell’uomo si
addossa
essa nel corso dell’evoluzione potrebbe scomparire.
In particolare viene tante volte ribadito come i maghi neri
che hanno praticato molte cose malvagie
verrebbero un giorno addirittura annientati nella loro esistenza
spirituale.
Quelli che già da tempo partecipano alle nostre aspirazioni
sanno che ho sempre respinto illazioni simili
perché dobbiamo tenere bene a mente
che tutto quello che qui nel mondo fisico chiamiamo “morte”
per il mondo soprasensibile non ha alcun significato.
Nessun atto di volontà, nessun impulso volitivo dei mondi
soprasensibili
può mai condurre a quello che qui nel mondo fisico conosciamo come
morte.
In tutti i mondi soprasensibili può tutt’al più sorgere la nostalgia
della morte
ma in essi la morte non può mai sopraggiungere.
Nel mondo al di sopra del fisico la morte non esiste.
Per l’anima umana è particolarmente toccante
quando si coglie che, davvero, tutte le entità delle Gerarchie
superiori
non possono mai conoscere la morte
essendo la morte qualcosa che può venir sperimentato solo sulla
Terra.
E l’entità che conosciamo come il più significativo “impulsatore”
per l’evoluzione terrena
Cristo
dovette essere l’unica entità dei mondi divini a fare conoscenza con la
morte.
Cristo dovette scendere sulla Terra per passare attraverso la morte.
Sicché, di tutti gli esseri ultra-fisici superiori all’uomo
Cristo è l’unico che abbia conosciuto la morte per esperienza
propria.
In effetti l’uomo stesso, quando è passato per la porta della morte
vive davvero in un mondo soprasensibile dove la morte non esiste
perché viene accolto in mondi nei quali un annientamento non può
prodursi.
Quello che si può contemplare nel mondo ultra-fisico come simile alla
morte
è qualcosa di molto diverso da essa.
È ciò che, volendo usare parole umane, si deve indicare con il termine
solitudine.
La solitudine, nel mondo soprasensibile, è quel che quaggiù è la
morte.
Non è un annientamento, ma è molto peggiore della solitudine qui sulla
Terra.
È un continuo riguardare indietro alla propria entità.
E cosa ciò significhi
lo si nota solo quando subentra questo non saper di niente, se non di se
stessi.
Il guardare per molti secoli soltanto se stessi non è proprio uno
spettacolo desiderabile.
Non lo dico come banalità
ma perché l’apparente banalità è in realtà qualcosa di
sconvolgente.
Dopo la morte, siamo infatti noi stessi un mondo per noi
ma quello che ci amplia questo nostro sé a un mondo più esteso
sono le relazioni che abbiamo allacciato qui sulla Terra.
La vita terrena esiste
affinché noi sviluppiamo relazioni e rapporti che poi proseguono oltre la
morte
perché dobbiamo allacciare quaggiù ciò che fa di noi un essere socievole
nel mondo spirituale.
L’uomo sperimenta come strazio, nel mondo spirituale, la paura della
solitudine.
- Rudolf Steiner -
O.O. 140
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