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mercoledì 28 febbraio 2024

Lo stridore sulla neve

Lo stridore sulla neve

Il rumore stridente della neve sotto il peso del corpo umano
tradisce la presenza dell’intruso nell’ordine sublime del silenzio,
rivelando l’inconfondibile goffaggine delle sue impronte.
Sullo sfondo del bianco morbido e scintillante
l’uomo appare sempre come un ladro di purezza e di verginità.
Metaforicamente,
il campo innevato rappresenta lo scenario perfetto su cui lasciare le proprie tracce,
affinché si possa contemplare l’illusione di permanenza
e quell’improponibile ma tenera idea di superiorità che l'essere umano attribuisce a se stesso.

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Nella dimensione introspettiva, il contatto con la neve, instabile e passeggera,
annulla le resistenze mentali meglio di ogni terapia
 e infonde il senso ontologico di nostalgia
per quello che è stato e che non tornerà mai come prima,
e per quello che sarebbe potuto essere e mai accadrà.
Tale esperienza risana i sensi e la psiche
già solo per la trasparenza con cui mostra la metafisica della vita
( che in fondo è la fisica dell’acqua ),
dove non c’è nulla di mistificatorio dietro la circolare dinamica
fra l’entusiasmo e la speranza di ogni singolo fiocco di neve
e la cedevolezza di ogni forma, semplice o complessa che sia,
sotto il peso della gravità.

La neve, a cui avvolgente copertura nulla si sottrae,
crea un inconscio all’inverso, senza traumi e senza inquietudine,
che annulla la memoria e induce in una calma immobilità.
Il silenzio ovattato, dovuto ai minuscoli spazi vuoti nelle strutture dei fiocchi di neve,
è scandito dal profondo respiro degli alberi, che si scuotano dal peso dei ghiaccioli,
dove ogni rumore estraneo sarebbe come l’entrata di un elefante in un negozio di cristalleria.
Forse ad eccezione del lieve sussurro della voce umana.

Ma l’uomo non può aderire al silenzio della neve a lungo perché,
mentre la natura compone la sua sinfonia con tutta la lentezza dell’eternità,
l’uomo vive con la costante incognita del tempo che gli resta,
e ogni momento
è l’ultimo per mostrare e imprimere nel mondo l’ansia della propria presenza.
E con tutto il chiassoso scompiglio che genera intorno a sé,
paradossalmente egli non dispone nemmeno di un mezzo autentico
per trasmettere ai posteri la memoria del proprio vissuto, per cui,
nonostante tutte le forme rappresentative ed effetti amplificanti creati a quello scopo,
ogni esperienza che egli vive e sedimenta rimarrà (per fortuna)
comprensibile solo a lui, e svanirà con lo sciogliersi della sua struttura.

Forse
l’unica azione nobile che l’uomo può tentare al cospetto di questa magnifica bellezza
è fermare il respiro e sublimare la percezione dell’istante, per astrarlo nel suo assoluto.
Ma anche nel voler fermare il tempo  egli è destinato a fallire,
perché dimostra di non poter stare né nell’eterno presente, e né fuori di esso.

- Zory Petzova -

A conferma ... una personale sensazione
ispiratami a suo tempo dal dipinto di un'amica.

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