La necropoli globale
  Da tre anni e mezzo, salvo brevi intervalli, passiamo da un incubo
        all’altro
  e ogni tentativo di pensare altro, di parlare d’altro, di scrivere
        d’altro
  è visto come qualcosa di inopportuno, di elusivo, quasi di
        vigliacco
  oltre che di stravagante.
    Dai tempi in cui esplose il covid, nel marzo del 2020 a oggi, stiamo
          passando da uno psicodramma globale all’altro, senza soluzione di
          continuità e con l’imperativo di farsi coinvolgere, se non si vuole
          passare per disertori o peggio, complici, per intelligenza col
          nemico. Non c’è evento che si possa circoscrivere, localizzare: ogni cosa che
      accade, ci tocca da vicino, riguarda anche noi, anzi è il preavviso di
      quel che ci accadrà.
      La somministrazione dell’angoscia è affidata ai media e propagata dai
          social.
  
    E appena c’è una pausa tra una tragedia e l’altra, basta un evento
      atmosferico per trasferirci in una specie di intervallo di “ ricreazione
      ”, nell’angoscia del clima, l’ansia della catastrofe ambientale ormai
      imminente. In modo da non allentare mai la tensione, neanche in pausa o in
      gita.
  
    Non dirò che c’è un Grande Complotto Mondiale, o un Grande Satana,
          che ci impone questa filiera di emergenze e di paure. Non può essere.
          Più probabilmente siamo entrati in una psicosi globale con reazione a
          catena, che comporta tra l’altro la radicalizzazione della società in
          posizioni opposte,
      e ogni tentativo di comprendere, capire le ragioni dell’altra parte
      s’infrange nella chiamata alle armi:
      o sei di qua o sei di là, sei col nemico, sei col male, sei dalla parte della malattia,
      dell’aggressione, del terrore.
      Ogni evento scava poi un fossato di odio e diffidenza tra noi
          “occidentali” e loro: i cinesi del virus, i russi
          dell’invasione, i terroristi islamici e i loro alleati e
          protettori.
  
    Ma di questa atmosfera che viviamo ormai da troppi anni, vorrei far
      notare innanzitutto la sua ricaduta sul piano psicologico:
      si sta impoverendo con una velocità impressionante, pari solo alla
          radicalità della prospettiva, il nostro orizzonte di pensiero e di
          vita.
  
    Tutto ciò che non combacia o non conduce ai temi dominanti di oggi è
          giudicato come una fuga, uno sproposito, un andare fuori tema. Impallidisce la storia, regredisce il pensiero, si essiccano perfino i
      risvolti umani, sentimentali e affettivi, almeno quelli un tempo
      dichiarati.
      Una prova sul campo di quel che dico, un test indicativo, lo trovo
          nel campo che mi è più congeniale, la cultura.
      Ogni idea, memoria, critica, divergenza, approfondimento precipita
      direttamente nell’oblio senza passare da alcun dibattito e alcuna
      attenzione.
      I libri devono solo rispecchiare il momento che stiamo vivendo, non
          possono permettersi di parlare d’altro.
        Devono parlare di questo mondo o del suo rovescio, per dirla col generale
      Vannacci. Ma restando strettamente ancorati all’attualità.
  
    Se andate a ritroso e sfogliate annate passate di qualunque diario
      pubblico a mezzo stampa, avete quasi l’impressione che prima vivessimo
      tutti a Bisanzio, distolti nella varietà dei mondi e degli argomenti,
      intenti a stabilire la natura degli angeli mentre la città era sotto
      assedio.
      Questo rimpicciolimento di vedute alla sola panoramica dei giorni
          nostri, ci sta impoverendo in modo assoluto e, temo,
          irreversibile.
  
    A pensarci bene,
      è proprio questo l’effetto più deleterio che questa mondializzazione
          monomaniacale, ossessiva, produce sulle nostre menti e nelle relazioni
          tra le persone. Con atteggiamenti schizofrenici di massa davvero
          impressionanti.
  
    Ho trovato raccapricciante l’altra sera uscire per le strade di
          provincia e imbattermi in sciami di bambini che per giocare ad
          Halloween erano sanguinanti, morenti, accoltellati, proprio come
          accadeva – ma sul serio, tragicamente – ai loro coetanei a Gaza o in
          Israele.
      C’era una bambina con un finto coltello infilato in una tempia fino al
      manico, che usciva sanguinante con la sua lama dall’altra tempia… Avevo
      visto immagini analoghe e raccapriccianti poco prima, ma vere, in un video
      da Gaza che mi era stato girato.
  
    Vedere questa simulazione che imita la realtà più cruenta, mentre accade;
      vedere che il gioco, lo scherzo e la caricatura ricalcavano,
      inconsapevolmente, l’evento più orrendo e funesto dei nostri giorni,
      indicava la riduzione del mondo a una dimensione, la peggiore:
      sia che si viva, sia che si giochi, l’orizzonte è la morte, lo
          spaventoso, il terribile e il cruento.
  
    In altri termini, anche l’evasione, lo scherzo fa il verso alla
          realtà, ne è la caricatura giocosa:
      in fondo, la differenza tra le due situazioni è data solo dal luogo, e
      dalla lontananza. Poveri quei bambini che vivono realmente, senza colpa,
      la tragedia di nascere e vivere in quei territori; fortunati quei bambini
      che da noi possono giocarci su per una sera e uccidere e morire per finta.
      Ma il mondo non sembra uscire da quell’orizzonte, orrore vero o
          simulato; che per dirla con Heidegger, rivela l’uomo, fin dalla più
          tenera età, come essere per la morte; vive, muore o scherza
          sull’estrema linea di confine.
  
    Possiamo allora dire che la barbarie sta trionfando
      in quei luoghi come nel mondo global, seppure in gradi e misure diverse:
      lì colpisce direttamente, qui invece si espande.
  
    Anche da noi non c’è altro orizzonte che quello imposto dal video,
      orizzonte riduttivo che scaccia ogni altro segno di vita.
      La civiltà è l’essere per la vita, che si tramanda; la resistenza
          alla morte attraverso le opere, gli amori, le fondazioni. Da quando la
          globalizzazione ha imboccato questa china, diventando necropoli
          globale, ogni giorno è due novembre.
  
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    P.S. : Le parti di testo evidenziate sono derivanti dalla mia personale percezione riguardo lo scritto.
  

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