Ernst Jünger, un autore titanico
Oltre il nichilismo del mondo moderno, Jünger, alla fine del tunnel della disgregazione, scorge una luce, o per meglio dire una nuova strada. Una strada che si apre, grazie al suo pensiero intuitivo, ad una specie di nuovo umanesimo. Un superamento dell’umano in una dimensione totalmente nuova. Quasi mitologica. Che trasforma il lavoratore in un nuovo titano che unisce il meccanicismo in una struttura di pensiero integrale che piega i ritmi in una sorta di nuova spiritualità.
La sua pubblicistica è sterminata, tra saggi, racconti, romanzi, epistolari e diari.
L’uomo moderno “differenziato” quindi al centro di un’epoca spaventosa ed in balie di forze elementari e caotiche. Da cui può “ritirarsi”, agendo su sé stesso ma soprattutto dandosi al bosco. Quel bosco tratteggiato alla perfezione in quell’altra sua opera basilare (al pari di “Cavalcare la tigre” di Evola) che fu “Il trattato del ribelle”. Traduzione italiana che però non rende appieno il senso, intendo nel titolo, di quello originario.
Nell’edizione tedesca il titolo è “Der Waldgang”, cioè “colui si dà al bosco”. Il ribelle (nel titolo italiano) quindi è colui il quale si ritira dal mondo, “passa al bosco”, avendo possibilità nulle di incidere su di esso, cercando di preservare la sua interiorità, i suoi valori e la sua libertà.
Ecco quindi l’anarca jungeriano, il nuovo ribelle che lotta contro il nulla e la decadenza, riscoprendo e rivalutando la propria consapevolezza, mantenendo intatto il suo nucleo inviolabile e la sua profondità. In uno stile severo ed asciutto, aderente nella sua interezza a principi dimenticati. In un cerchio ed in una cittadella inespugnabile. Da cui condurre una lotta di resistenza ma anche di testimonianza.
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