Suggerimento

Se hai ragione non hai bisogno di gridare.

S. Paolo : " Vagliate tutto e trattenete ciò che vale "
B. Pascal : " Sia il consenso della vostra ragione e non quella degli altri che vi conduca a credere "
T. de Chardin : Basta che la Verità appaia una sola volta, in una sola mente, perché nulla possa più impedire d'invadere tutto e d'incendiare tutto "
Di mio sento solo di aggiungere che : la Verità non necessita di essere sostenuta da proselitismo ... bensì ... essere semplicemente enunciata e testimoniata.
Essa è sempre coerente con sé stessa e trova per sua stessa natura quale sia il modo opportuno e la circostanza più adatta per rivelarsi.
E' solo questione di tempo.

Da considerare anche che, una volta conosciuta, la Verità rende sicuramente liberi, ma, in alcune circostanze, niente affatto sicuri.

SAPERE AUDE !

ET SI OMNES EGO NON

martedì 31 gennaio 2023

Elogio dell'infanzia

Elogio dell'infanzia

Quando il bambino era bambino,
camminava con le braccia ciondoloni,
voleva che il ruscello fosse un fiume,
il fiume un torrente
e questa pozzanghera il mare.

Quando il bambino era bambino,
non sapeva di essere un bambino,
per lui tutto aveva un’anima
e tutte le anime erano un tutt’uno.

Quando il bambino era bambino
non aveva opinioni su nulla,
non aveva abitudini,
sedeva spesso con le gambe incrociate,
e di colpo si metteva a correre,
aveva un vortice tra i capelli
e non faceva facce da fotografo.

Quando il bambino era bambino,
era l’epoca di queste domande:
perché io sono io, e perché non sei tu?
perché sono qui, e perché non sono lì?
quando comincia il tempo, e dove finisce lo spazio?
la vita sotto il sole è forse solo un sogno?
non è solo l’apparenza di un mondo davanti al mondo
quello che vedo, sento e odoro?
c’è veramente il male e gente veramente cattiva?
come può essere che io, che sono io,
non c’ero prima di diventare,
e che, una volta, io, che sono io,
non sarò più quello che sono?

Quando il bambino era bambino,
si strozzava con gli spinaci, i piselli, il riso al latte,
e con il cavolfiore bollito,
e adesso mangia tutto questo, e non solo per necessità.

Quando il bambino era bambino,
una volta si svegliò in un letto sconosciuto,
e adesso questo gli succede sempre.
Molte persone gli sembravano belle,
e adesso questo gli succede solo in qualche raro caso di fortuna.

Si immaginava chiaramente il Paradiso,
e adesso riesce appena a sospettarlo,
non riusciva a immaginarsi il nulla,
e oggi trema alla sua idea.

Quando il bambino era bambino,
giocava con entusiasmo,
e, adesso, è tutto immerso nella cosa come allora,
soltanto quando questa cosa è il suo lavoro.

Quando il bambino era bambino,
per nutrirsi gli bastavano pane e mela,
ed è ancora così.

Quando il bambino era bambino,
le bacche gli cadevano in mano come solo le bacche sanno cadere,
ed è ancora così,
le noci fresche gli raspavano la lingua,
ed è ancora così,
a ogni monte,
sentiva nostalgia per una montagna ancora più alta,
e in ogni città,
sentiva nostalgia per una città ancora più grande,
ed è ancora così,
sulla cima di un albero prendeva le ciliegie tutto euforico,
com’è ancora oggi,
aveva timore davanti a ogni estraneo,
e continua ad averlo,
aspettava la prima neve,
e continua ad aspettarla.

Quando il bambino era bambino,
lanciava contro l’albero un bastone come fosse una lancia,
che ancora continua a vibrare.


dal film di Wim Wenders : Il cielo sopra a Berlino

💢

Ancora preoccupante
la differenza tra le altisonanti dichiarazioni sui diritti dei bambini
e la realtà della loro effettiva realizzazione.
Troppe le vite di piccoli innocenti contrassegnate da violenze indicibili
estrema povertà e sfruttamento a tutti i livelli
nonché disprezzo della Vita.

Uno spaccato questo ... indegno per ogni democrazia.

Hakeraggi Sistema(tici)

Hakeraggi Sistema(tici)

Più chiaro di così

 « Se qualcuno avrà a disposizione abbastanza dati personali
non avrà bisogno delle Forze armate per colonizzare un Paese.
E se avrà disponibili conoscenze in Biologia
potenza di calcolo e sufficienti informazioni
potrà hackerare * il mio corpo, il mio cervello e tutta la mia vita.
Potrà conoscermi meglio di come io conosco me stesso ...
potrà scoprire di che impronta sia la mia personalità
le mie opinioni politiche, le mie preferenze sessuali
le mie debolezze, le mie paure più profonde e le aspirazioni.
E questo si potrà fare non solo con me ma con tutti.
Il Sistema che ci comprende meglio di noi stessi
sarà in grado di anticipare i nostri sentimenti e le nostre scelte
elaborarle
e alla fine prendere decisioni per noi. »

- Yuval Noah Harari -

* Violare un sistema informatico per danneggiarlo o per acquisire informazioni riservate



Per un intendimento dei princìpi sottesi in quella dichiarazione 
riporto a mo' d'esempio
un pro-memoria che ho utilizzato per diversi anni
a supporto di Conferenze introduttive riguardanti le nanotecnologie.

Corpo Fisico biologico e Corpo INFORMATICO     

L’organismo vivente è un Sistema
in grado di mantenere stabile la propria morfologia e costanti le proprietà generali
grazie ad un continuo flusso di materiali, di energia ed informazioni
( proprietà che si chiama omeostasi )

Non si parla più solo di corpo fisico biologico
ma va introdotto il concetto di : corpo informatico.     

Ci sono delle comunicazioni certe fra i componenti del nostro organismo :   
c’è come una grande rete stradale
che permette alle informazioni di muoversi da un organo all’altro, da una zona all’altra.    
Ogni organo comunica in maniera standard con tutti gli organi,
e la comunicazione avviene attraverso queste strade informatiche.

Il Sistema opera attraverso dei fasci fotonici.

Il fascio fotonico esprime una lunghezza d’onda e quindi un numero :
si tratta di un’espressione matematica che incide sul Sistema,
inviando un messaggio molto preciso.   
Il messaggio è un logaritmo ( di 2,164 ) ed è presente in tutte le funzioni cellulari :
unioni, duplicazioni e divisioni di tutte le molecole.

Il linguaggio matematico innesca come un dialogo, una sequenza
che da gli ordini alle strutture; tutto, organizzato alla perfezione.      

Il sistema biologico si modifica
se riceve delle informazioni fisiche o matematiche che lo fanno modificare.

( Hacker )

Il metodo è informatica pura
soggiace completamente alle leggi dell’ informatica e lavora su più livelli.   

Le leggi dell’informatica sono semplici : i fotoni ( le informazioni )
si mettono insieme e si legano solo con altri di lunghezze d’onda
che siano multipli o sottomultipli o uguali fra di loro
andando ad agire le zone dove c’è lo stesso segnale o lunghezza d’onda.
Mai a caso !

Questo è il presupposto a cui si sono affiancate, integrandosi, discipline complementari
volte all’ottimizzazione dei potenziali elettromagnetici endogeni
secondo i principi della Biofisica, della Fisica quantistica
del Sistema dei Canali di Comunicazione-Informazione Energetica
della Bio-Foto-Modulazione, della Risonanza Passiva dei campi Elettromagnetici Endogeni
e della risposta muscolare all’aumento di capacitanza delle membrane cellulari.

💢

Certamente il Progresso non lo si deve impedire
ma va controllato
con la giusta attenzione critica da parte dei possibili fruitori
e con il supporto di leggi etiche.
 
Tu che mi leggi sei abbastanza intelligente
per comprendere la possibile deriva di queste tecnologie
indirizzate da menti esaltate da deliri di onnipotenza
    e una volta realizzate consegnate in mani meramente esecutive.

mRNA - 5G - A.I.

lunedì 30 gennaio 2023

NOSSO LAR

NOSSO LAR

Un film molto bello considerando le riflessioni spirituali che alimenta
( condivisibili o meno in base al proprio credo )
esaminando sia la bellezza esteriore che quella interiore
seppur inframezzate da dolore e difficoltà emotive.
Informazioni comunque utili
per un risveglio delle coscienze quali semplicità e umiltà
sono forse l'insegnamento più rilevante della storia.

Ma ci sono anche altri riferimenti riguardanti il percorso evolutivo
la reincarnazione, la gestione delle energie interiori, il servizio agli altri,
lo sforzo individuale, il non attaccamento, l'amore incondizionato, ecc...

Forse proprio questo
il vero motivo della sua mancata diffusione nelle sale.


" Le apparenze non sempre indicano la realtà.
A volte il nostro lato oscuro è travestito da una falsa immagine di tranquillità.
Ma un giorno tutto viene a galla, e non è mai troppo tardi. "

" Adesso la voce divina che parla al santuario della mia anima è solo perdono e amore."

domenica 29 gennaio 2023

L'apparenza inganna

L'apparenza inganna

( Ma non sempre )

Giungo allo Stabilimento di bagni di Regoledo.
Mi seggo a tavola rotonda.
 Non conosco neppure di nome nessuno.
Mi metto a pensare fra me stesso chi siano i vari miei commensali.
Descrizioni diverse.
Uno di faccia mi sembra un mercante di candele, un altro un falegname,
un altro un piccolo d'osteria, un quarto un assassino ecc...

Quella donna poi è sicuramente una meretrice;
quell'uomo là in fondo, non c'è dubbio, è un ciabattino :
pare ancora di vedergli il segno dello spago sulla fronte intorno ai capelli ecc....

Ragioni scientifiche e sentimentali di tali supposizioni.

Terminato il pranzo mi informo dei nomi dei miei diagnosticati.
Tutti conti, marchesi e banchieri.
L'apparente puttana è una dama di compagnia di una regina,
il ciabattino è un principe ecc...
Rinunzio a fare il fisiognomonista.

- Carlo Dossi -
Note azzurre
Milano - Treves 1912


👇

Lui no. Non ci ha rinunciato.

" Ma se ti senti male, rivolgiti al Signore,
credimi siamo niente, dei miseri ruscelli senza fonte ... "


sabato 28 gennaio 2023

Aborto : il copione ricorrente

Aborto : il copione ricorrente

Come la mettiamo
considerando tutte le possibili alternative disponibili
riguardo la possibilità di evitare a priori gravidanze indesiderate ?

Feto ... embrione ... nascituro ... neonato ... bambino
- e via via fino ad anziano -
sono solo nomi per definire le diverse fasi della vita di una persona.

Vita che inizia nel grembo materno.
Sin dal primo istante.

Ma chi a tutto ciò si oppone non cambia il copione
denunciando l'attacco alla L.194 sull'aborto
e al diritto della donna di disporre del proprio corpo.

C'è solo un piccolo dettaglio :
il bambino È nel corpo materno ... ma NON È il suo corpo.

Questo il motivo
per cui va riconosciuta al nascituro la capacità giuridica.


venerdì 27 gennaio 2023

27 Gennaio : Shoah Giorno della memoria

27 Gennaio
Shoah Giorno della memoria




La promessa di Giove

La promessa di Giove

Gli dei mantengono le promesse fatte ...

👆


« Una parte d'Europa è, che da' Greci
Si disse Esperia, antica, bellicosa
E fertil terra. Dagli Enotri cólta,
Prima Enotria nomossi: or, com'è fama,
Preso d'Italo il nome, Italia è detta.
Quest'è la terra destinata a noi. »

ENEIDE - Virgilio
(286 - 291)

« Quindi lieto per la fulva protezione della lupa nutrice
Romolo raccoglierà un popolo e fonderà le mura mavorzie
e dal suo nome esprimerà i Romani.
Per questi non pongo né limiti d'azione né tempi:
ho concesso un potere senza fine. Anzi la dura Giunone,
che adesso sconquassa con paura e terre e cielo,
riporterà in meglio le decisioni, con me favorirà
i Romani, signori delle situazioni e popolo togato. »

ENEIDE - Virgilio
(1223- 304)

👇

... ma a lungo andare gli uomini le hanno tradite.


Preparate per me una schiavitù e una padrona

Preparate per me una schiavitù e una padrona


E così vedo preparate per me una schiavitù e una padrona :
addio, ormai, o bella libertà dei padri,
mi s'impone un duro servaggio, in prigionia di catene;
a me infelice, Amore non allenta i legami;
e mi arde senza curarsi se sono innocente o colpevole.
Brucio, ahimè; crudele fanciulla allontana le tue fiaccole.
Oh, affinché io possa non soffrire tali pene,
quanto preferirei essere una pietra sui gelidi monti,
oppormi quale roccia alla furia dei venti,
percossa dall'onda del vasto mare causa di naufragi !
Ora è amaro il giorno, e più amara l'ombra della notte,
tutte le ore mi sono intrise di acre fiele.
Né mi giovano le elegie e i carmi che Apollo m'ispira :
ella protende continuamente la mano per chiedere la mercede.
Allontanatevi da me, o Muse, se non soccorrete chi ama :
non vi onoro perché devo intonare inni di guerra,
né descrivo il cammino del Sole o i ricorsi della Luna,
quando, colmato il suo disco, volge i cavalli.
Con i carmi chiedo facile accesso a colei che mi ha in suo potere :
se questi non servono, allontanatevi da me, o Muse.
Ma devo procurarmi doni anche con eccidi e delitti,
se non voglio giacere in lagrime davanti alla sua porta chiusa,
oppure strapperò le offerte votive appese ai sacri templi,
ma più d'ogni altro dovrò profanare Venere.
Ella m'induce al delitto, e mi assegna un'avida padrona :
sia lei dunque a sentire le mie mani sacrileghe.
Maledetto chi è intento a raccogliere verdi smeraldi
e tinge il candido vello della pecora con porpora tiria.
Egli, e le vesti di Cos, e la fulgida conchiglia del Mar Rosso,
sono le prime cause dell'avidità delle fanciulle.
Questo le ha rese perverse; da qui la porta conobbe la chiave,
e il cane cominciò a restare di guardia sulla soglia.
Ma se rechi una pingue mercede, la custodia è vinta,
le chiavi non sono di ostacolo, il cane stesso tace.
Ahi, qual bene aggiunse a molti mali quel dio,
qualunque sia stato, che diede la bellezza a una donna avida !
Da qui il risonare di pianti e di risse, questa fu infine
la causa che fece di Amore un nume infamato.
Ma a te, che escludi gli amanti superati da altri nel compenso,
il vento e il fuoco rapiscano le procacciate ricchezze,
e anzi allora i giovani guadino beffardi l'incendio delle tue cose,
e nessuno si adopri zelante a gettare acqua sulle fiamme;
se per te giungerà la morte, non vi sarà nessuno a piangerti,
né chi porga la sua offerta votiva alle tristi esequie.
Invece colei che sia stata mansueta e non avida, anche se vivrà cent'anni,
avrà chi la piange davanti al rogo ardente,
e qualche vecchio, ricordando con venerazione gli antichi amori,
ogni anno appenderà una ghirlanda al tumulo da lui eretto,
e dirà allontanandosi: « Riposa serena e in pace;
la terra ti sia leggera sulle ossa di tranquilla defunta. »
Predìco il vero : ma il vero a cosa mi giova ?
M'è forza servire Amore com'ella impone.
Anche se mi ordinasse di vendere la dimora avita,
obbedite al suo cenno, o Lari, e vi si metta all'incanto.
Tutti i tossici di Circe e il veleno di Medea,
tutte le qualità di erbe che il tèssalo suolo produce,
e quell'ippòmane che stilla dall'inguine delle bramose cavalle,
quando Venere ispira lascivia agli indomiti armenti,
purché la mia Nemesi mi guardi con volto benigno,
e mille altre erbe mescoli anch'essa, io berrò d'un sorso.

- Albio Tibullo -
Elegie


giovedì 26 gennaio 2023

Davanti a San Guido

Davanti a San Guido

La struggente poesia di Carducci sull’infanzia perduta.
Un viaggio mentale raccontato attraverso le visioni evanescenti
scorte attraverso il finestrino di un treno
che unisce l’evocazione di paesaggi ormai scomparsi
a una confessione intima e appassionata.


I cipressi che a Bólgheri alti e schietti
Van da San Guido in duplice filar,
Quasi in corsa giganti giovinetti
Mi balzarono incontro e mi guardâr.

Mi riconobbero, e – Ben torni omai –
Bisbigliaron vèr’ me co ’l capo chino –
Perché non scendi ? Perché non ristai ?
Fresca è la sera e a te noto il cammino.

Oh sièditi a le nostre ombre odorate
Ove soffia dal mare il maestrale:
Ira non ti serbiam de le sassate
Tue d’una volta: oh, non facean già male !

Nidi portiamo ancor di rusignoli:
Deh perché fuggi rapido cosí ?
Le passere la sera intreccian voli
A noi d’intorno ancora. Oh resta qui ! –

– Bei cipressetti, cipressetti miei,
Fedeli amici d’un tempo migliore,
Oh di che cuor con voi mi resterei –
Guardando io rispondeva – oh di che cuore !

Ma, cipressetti miei, lasciatem’ ire:
Or non è piú quel tempo e quell’età.
Se voi sapeste !… via, non fo per dire,
Ma oggi sono una celebrità.

E so legger di greco e di latino,
E scrivo e scrivo, e ho molte altre virtú:
Non son piú, cipressetti, un birichino,
E sassi in specie non ne tiro piú.

E massime a le piante. – Un mormorio
Pe’ dubitanti vertici ondeggiò,
E il dí cadente con un ghigno pio
Tra i verdi cupi roseo brillò.

Intesi allora che i cipressi e il sole
Una gentil pietade avean di me,
E presto il mormorio si fe’ parole:
– Ben lo sappiamo: un pover uom tu se’.

Ben lo sappiamo, e il vento ce lo disse
Che rapisce de gli uomini i sospir,
Come dentro al tuo petto eterne risse
Ardon che tu né sai né puoi lenir.

A le querce ed a noi qui puoi contare
L’umana tua tristezza e il vostro duol.
Vedi come pacato e azzurro è il mare,
Come ridente a lui discende il sol!

E come questo occaso è pien di voli,
Com’è allegro de’ passeri il garrire !
A notte canteranno i rusignoli:
Rimanti, e i rei fantasmi oh non seguire;

I rei fantasmi che da’ fondi neri
De i cuor vostri battuti dal pensier
Guizzan come da i vostri cimiteri
Putride fiamme innanzi al passegger.

Rimanti; e noi, dimani, a mezzo il giorno,
Che de le grandi querce a l’ombra stan
Ammusando i cavalli e intorno intorno
Tutto è silenzio ne l’ardente pian,

Ti canteremo noi cipressi i cori
Che vanno eterni fra la terra e il cielo:
Da quegli olmi le ninfe usciran fuori
Te ventilando co ’l lor bianco velo;

E Pan l’eterno che su l’erme alture
A quell’ora e ne i pian solingo va
Il dissidio, o mortal, de le tue cure
Ne la diva armonia sommergerà. –

Ed io – Lontano, oltre Apennin, m’aspetta
La Titti – rispondea – ; lasciatem’ ire.
È la Titti come una passeretta,
Ma non ha penne per il suo vestire.

E mangia altro che bacche di cipresso;
Né io sono per anche un manzoniano
Che tiri quattro paghe per il lesso.
Addio cipressi ! addio, dolce mio piano ! –

– Che vuoi che diciam dunque al cimitero
Dove la nonna tua sepolta sta ? –
E fuggíano, e pareano un corteo nero
Che brontolando in fretta in fretta va.

Di cima al poggio allor, dal cimitero,
Giú de’ cipressi per la verde via,
Alta, solenne, vestita di nero
Parvemi riveder nonna Lucia;

La signora Lucia, da la cui bocca,
Tra l’ondeggiar de i candidi capelli,
La favella toscana, ch’è sí sciocca
Nel manzonismo de gli stenterelli,

Canora discendea, co ’l mesto accento
De la Versilia che nel cuor mi sta,
Come da un sirventese del trecento,
Pieno di forza e di soavità.

O nonna, o nonna ! deh com’era bella
Quand’ero bimbo ! ditemela ancor,
Ditela a quest’uom savio la novella
Di lei che cerca il suo perduto amor !

– Sette paia di scarpe ho consumate
Di tutto ferro per te ritrovare:
Sette verghe di ferro ho logorate
Per appoggiarmi nel fatale andare:

Sette fiasche di lacrime ho colmate,
Sette lunghi anni, di lacrime amare:
Tu dormi a le mie grida disperate,
E il gallo canta, e non ti vuoi svegliare. –

Deh come bella, o nonna, e come vera
È la novella ancor ! Proprio cosí.
E quello che cercai mattina e sera
Tanti e tanti anni in vano, è forse qui,

Sotto questi cipressi, ove non spero
Ove non penso di posarmi piú:
Forse, nonna, è nel vostro cimitero
Tra quegli altri cipressi ermo là su.

Ansimando fuggía la vaporiera
Mentr’io cosí piangeva entro il mio cuore;
E di polledri una leggiadra schiera
Annitrendo correa lieta al rumore.

Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo
Rosso e turchino, non si scomodò:
Tutto quel chiasso ei non degnò d’un guardo
E a brucar serio e lento seguitò.

G. Carducci

Luoghi comuni

Luoghi comuni




Indimenticabile Anna

La glorificazione del lavoro

La glorificazione del lavoro


È di moda, nella nostra epoca, esaltare il lavoro, quale che sia e in qualunque modo lo si compia, come se avesse un valore eminente di per sé e indipendentemente da ogni considerazione d’altro ordine;
(…)
È facile capire che questo modo di considerare le cose si riallaccia direttamente all’esagerato bisogno d’azione caratteristico degli Occidentali moderni; infatti, il lavoro, almeno quando lo si considera in questo modo, evidentemente altro non è che una forma dell’azione, e una forma alla quale, d’altra parte, il pregiudizio “moralista” esorta ad attribuire un’importanza ancora maggiore a qualsiasi altra, essendo quella che meglio si presta a essere presentata in veste di “dovere” per l’uomo e tale da contribuire ad assicurare la sua “dignità”.
Il più delle volte a ciò si aggiunge un’intenzione nettamente antitradizionale, quella di disprezzare la contemplazione, che si finge d’assimilare all’“ozio”, mentre, al contrario, essa è in realtà l’attività più elevata che si possa concepire, e d’altronde l’azione separata dalla contemplazione non può essere che cieca e disordinata. Tutto ciò si spiega fin troppo facilmente da parte d’uomini che dichiarano, senza dubbio sinceramente, che « la loro felicità consiste proprio nell’azione », noi diremmo volentieri nell’agitazione, giacché, quando l’azione è presa così come fine a se stessa, quali che siano i pretesti “moralisti” invocati per giustificarla, essa non è davvero niente più di quello.

Contrariamente a quel che pensano i moderni, un lavoro qualsiasi, compiuto indistintamente da chiunque, e unicamente per il piacere d’agire o per la necessità di “guadagnarsi la vita”, non merita per niente d’essere esaltato, e pure non può essere considerato che come una cosa anormale, opposta all’ordine che dovrebbe reggere le istituzioni umane, al punto che, nelle condizioni della nostra epoca, arriva troppo sovente ad assumere un carattere che si potrebbe, senza esagerazione alcuna, qualificare come “infra-umano”.

Quel che i nostri contemporanei sembrano ignorare completamente, è che un lavoro non ha reale valore se non quando è conforme alla natura stessa dell’essere che lo compie, se ne risulta in modo diciamo spontaneo e necessario, sì da essere per tale natura il mezzo per realizzarsi il più perfettamente possibile.
(…)
... un lavoro, di qualunque genere possa essere d’altronde, sia quel che dev’essere, occorre anzitutto che corrisponda per l’uomo a una “vocazione”, nel vero senso della parola; e, quando è così, il profitto materiale che può legittimamente derivarne appare come un fine secondario e contingente, addirittura trascurabile di fronte a un altro fine superiore, che è lo sviluppo e come il compimento “in atto” della natura stessa dell’essere umano.

       - R. Guénon -

mercoledì 25 gennaio 2023

Fiducia nella vita

Fiducia nella vita

Abbi fiducia nella vita e non nelle ideologie;
non ascoltare i missionari di quest'illusione o quell'altra.
Ricorda che c'è una sola cosa affermativa : l'invenzione;
il sistema invece
è caratteristico della mancanza d'immaginazione.

Ricorda che tutto accade a caso e che niente dura,
il che non ti vieta di fare un disegno sul vetro appannato,
né di cantare qualche nota semplice quando sei contento;
può darsi che sia un bel disegno, che la canzone sia bella :
ma questo non ha certo importanza, basta che piacciano a te.
Un giorno morirai;
non fa niente,
poiché saranno gli altri ad accorgersene.

- J.R. Wilcock -
Poesie

Racchiusi

 Racchiusi




martedì 24 gennaio 2023

Giornalista

Giornalista

" Testimone della realtà " ( definizione di Enzo Biagi )
attualizzatosi nel tempo in qualità di " Testimone per parte in causa "
come appurabile nella maggior parte dei casi.


Il limite

Il limite

Chi è uomo pensi nei limiti assegnati all’uomo
- Menandro -

Da alcuni anni la politica, il giornalismo, l’opinione pubblica,
sembrano allargare sempre più i confini della comune stoltezza umana.

Questo dovrebbe convincerci, come Dumas, che il genio ha un limite, la stupidità no.
Il paradosso si potrebbe spiegare così :
il genio è una pienezza di sé che l’uomo in casi eccezionali può raggiungere, ma non superare.
La stupidità, essendo una negazione del reale, è invece una vacuità senza fondo.

Di fatto, tutto ha un limite o, meglio, tutto è limite.
Ogni essere riceve nel limite la sua natura propria.
Questa idea, di cui abbiamo ovviamente una comprensione limitata,
è fondamentale, perché pone una separazione tra essere e non essere.
Ciò che non ha confine è il nulla; le cose, per manifestarsi, devono assumere una forma finita.

Esser delimitato è dunque una condizione imprescindibile.
È così che distinguiamo il Cielo dalla Terra, il giorno dalla notte, le stagioni tra loro ecc...
Il limite è prerequisito di ogni rapporto tra le cose.
È come un’epidermide metafisica
che determina la separazione tra la coscienza e i suoi oggetti.
Solo così possiamo fare esperienza del mondo.
Dove io finisco comincia l’altro.
E quando ci riferiamo ai limiti del linguaggio, del conoscere ecc...
dovremmo ricordare che è la loro finitezza a renderli possibili.

Il limite non ha un carattere univoco.
Come struttura psicofisica coincide con forme e funzioni definite
- la specie, la razza, il sesso, l’aspetto corporeo, le facoltà sensoriali e mentali ecc... -
dalle quali non puoi uscire.
Moralmente, è un complesso di avvisi interiori, il cui rispetto è facoltativo,
ma la cui inosservanza pone in pericolo noi e gli altri,
come l’ignorare uno stop o l’andare contromano.

Anche il tempo, il luogo, le circostanze in cui nasce, tessono nell’uomo una trama di limiti tenaci. Alcune di tali delimitazioni sono necessarie e irrevocabili, altre sono contingenti, legate ad abitudini, convenzioni sociali ecc. Vi sono poi invisibili barriere metafisiche poste tra le contigue dimensioni dell’essere, come quella che divide i mondi dei vivi e dei morti.

Il concetto di ‘delimitazione’ è associato nell’I Ching a un lago, che per quanto grande deve avere sponde che ne contengano le acque. Così, noi siamo come coppe che ricevono il flusso della vita e se ne possono colmare fino all’orlo. Attraverso il limite io contengo l’altro e l’altro mi contiene. Ma l’I Ching usa una metafora ancor più significativa. La parola con cui indica la delimitazione è infatti jien, letteralmente ‘nodo del bambù’.

Dato che l’uguaglianza è un concetto sconosciuto in natura, alcuni bambù possono raggiungere i 40 metri, altri non vanno oltre i pochi centimetri. Ma in tutti i casi, il processo di sviluppo della pianta richiede che lungo il fusto si creino alcuni anelli solidi che ne sostengano la crescita. Ogni nodo, con la sua durezza, rappresenta un limite relativo e, per così dire, una crisi. Solo creando queste sezioni separate, con la loro relativa rigidità, è possibile al bambù innalzarsi restando flessibile. Lo stesso accade nell’evoluzione spirituale dell’essere umano. Le sue crisi profonde, una volta superate, formano i plessi nodali che ne costituiscono l’interiore colonna vertebrale.

Il limite è il midollo della saggezza, ma è un midollo spesso dal sapore amaro, da cui si rifugge. È naturale che un uomo cerchi di sottrarsi alle determinazioni che lo limitano. Questo però può avvenire in due modi, dall’alto o dal basso. Il primo è quello che porta un organismo a svilupparsi dalle sue forme embrionali a quelle mature; quello che spinge un artista a perfezionarsi nella sua arte, uno studioso a conoscere sempre meglio la sua materia, l’amore a superare il proprio egoismo ecc...

Questo ideale superamento di sé acquista nuovi domini all’essere, sottraendoli al non essere, ed esprime potenzialità latenti. Ma ha anch’esso un limite che bisogna accettare. La realtà è infinita, ma noi ne possiamo cogliere solo un’immagine finita. La vita è illimitata ma noi dobbiamo morire. Il sapere è illimitato, ma la nostra capacità di sapere ha limiti invalicabili ecc...

Superare il proprio limite dal basso vuol dire invece regredire, arretrare di fronte all’ostacolo che ci si presenta e rattrappirsi in condizioni di esistenza involute, abdicando al proprio potere espansivo. Questo processo è caratteristico di certe forme nevrotiche o psicotiche che cercano una soluzione nella fuga di fronte al limite. E poiché nega così la realtà o le preferisce surrogati immaginari, questa fuga non ha limite, come la stupidità.

L’ipertrofia del limite comporta un blocco d’energia, la sua carenza una dissipazione. Nella via di mezzo si trova la misura giusta delle cose, evitando le astrazioni del Nulla e del Tutto. Senza questo equilibrio ogni virtù diventa vuota formula retorica. Cristo non dice forse che bisogna perdonare settanta volte sette? È certamente una larghissima misura, ma pone un limite anche al perdono.

L’amore stesso vive di limiti. Non possiamo amare l’infinito contenuto in una altro essere se non attraverso i suoi abiti finiti e particolari. Per questo l’amore di Dio diventa facilmente un’astrazione, perché ciò che non ha limite non offre appiglio al nostro amore. Quando l’Uno diventa Due, crea un limite in sé stesso. Rende così possibile amarlo nelle sue creature (« ero un tesoro nascosto; la creazione è stata fatta affinché possiate conoscerMi »).

Infine, « la morte è l’estremo limite delle cose», ultima linea, dice Orazio. Ma questa linea è evidente nel morire come in ogni atto della vita. Rappresenta il fondamento di un ordine cosmico. Solo attraverso il limite ogni esistenza assume un’identità e prende coscienza di sé, come parte del tutto. È una medicina al nostro narcisismo, alle auto-deificazioni e ai deliri d’Assoluto. Solo grazie al limite ci è concesso partecipare di quel logos o anima i cui confini non possiamo mai raggiungere.

Non bisogna né amare né odiare i propri limiti, semplicemente accettarli. È sbagliato tanto l’attaccarsi ad essi come il rifiutarli. Bisogna considerare il limite, al pari di polmoni, cuore, fegato ecc., un organo che svolge una funzione essenziale nell’economia dell’esistenza. Dunque, è lecito supporre che una sua disfunzione rappresenti un grave pericolo. In tal senso, la società moderna manifesta una duplice patologia, mostra tanto i sintomi di un’ipofunzione quanto quelli di un’iperattività; soffre sia di debolezza e flaccidità del limite, sia di una sua dolorosa rigidità.

Tali anomalie distorcono il senso di realtà, su cui riflettono le ombre di una falsità sempre più radicale. Ma la nostra coscienza, intossicata e distratta, non s’accorge d’esser coinvolta in un conflitto metafisico tra verità e menzogna, e di doversi schierare in un campo o nell’altro, tra chi rispetta il senso del limite o tra chi lo nega, chi conserva la misura del reale o chi l’ha perduta.
Molte sono le malattie del limite. Una delle più comuni è l’idea di progresso, mito in cui si adunano le nostre ostinate follie, come cellule cancerose protese verso uno sviluppo disordinato e indefinito che finisce col divorare sé stesso. Questo velleitario e ininterrotto auto-trascendimento ha di fatto il carattere di una hybris tumorale. E già appaiono all’orizzonte, buie, le nubi della Nemesi.

Solo la cecità può impedirci di vedere la nostra decadenza, che pure è evidente, e farci credere d’esser destinati a un futuro in perenne miglioramento. La nostra cultura, la nostra stessa religione, rifiutando schemi ciclici e circolari, alimentano il mito di una crescita infinita, costellata di nuove Utopie, miraggi di Nuovi Ordini Mondiali tesi a correggere provvidenzialmente la realtà. Ma chi potrebbe seriamente sostenere che siamo oggi più evoluti di un antico cinese o di un uomo medievale ?

In realtà, v’è nella coscienza contemporanea un presentimento di morte, un sensus finis. Nella stessa fantascienza abbondano gli elementi di distopia, l’incubo, la degradazione morale. Le macchine, specie quelle con finalità distruttive, evolvono, mentre l’uomo resta lo stesso, o peggiora, perdendo vasti territori della sua umanità. Il vagheggiato progresso pare comprimerne l’interiorità in limiti sempre più angusti, rivelando i suoi lati sinistri e disumani.

La stessa economia, finché era legata al possesso di beni finiti, bestiame, schiavi, case, oro ecc., aveva un limite naturale e contenute erano le sue controindicazioni morali. Viceversa, l’emissione e la circolazione virtualmente illimitata di denaro determina effetti devastanti nell’etica della società e delle relazioni umane. La corruzione e l’avidità non hanno più confini. Il Moloch finanziario diventa anch’esso un cancro inarrestabile, un’astrazione che intacca e distrugge il tessuto sano della realtà. A ciò bisogna aggiungere la concentrazione di ricchezza e di potere decisionale in gruppi sempre più ristretti, il che ha come effetto di allargare smisuratamente le differenze di classe, i privilegi di pochi da un lato e la servitù delle masse dall’altro.

Nei comportamenti sessuali, d’altro canto, vediamo come aspettative un tempo confinate nella loro reale concretezza fisica e psicologica, vengono oggi deformate dall’immaginario erotico, virtualmente infinito, offerto dalla Rete. Lì, in un’esperienza puramente fantastica, Eros è condannato a estinguersi per la moltitudine dei suoi oggetti, nella ricerca di sempre nuovi stimoli. Il piacere naufraga in una dimensione tanto più angusta e frustrante quanto più appare sterminata e appagante.

L’idea che si debbano abolire le forme naturali della sessualità e della famiglia, per immergerle in un flusso non delimitabile di forme e di tendenze amorfe, i cui unici limiti sono la fantasia e l’inesausto rimodularsi del desiderio, offre un altro esempio di questa morbosa cultura del Non-limite. Questo anarchismo, questo rifiuto di strutture limitanti, una volta ancora ci ricorda il dilagare delle neoplasie, la disseminazione di metastasi in un organismo.

L’uomo ha in realtà bisogno e nostalgia del limite. Prima d’esser corrotta, la sua coscienza tende a una chiara definizione di ruoli e di valori, non a vaghi e dissolventi arcobaleni di senso. Un solido cerchio familiare, solide delimitazioni affettive, solide convenzioni sentimentali e solidi legami, lo fanno sentire sicuro e protetto non meno che i solidi muri della sua casa.

Quanto è stucchevole invece questa idea di ‘inclusione’ che ci viene regolarmente inflitta! Come stride con le propensioni della nostra natura, col nostro desiderio di affinità elettive, esclusive e limitate! Gli amori e le uguaglianze universali, le fratellanze e le accoglienze senza confini, non fanno presa sull’uomo reale. Solo una retorica appiccicosa può attaccarci queste cose alla coscienza, come lustrini su un abito.

Un’altra preoccupante erosione del limite si manifesta parallelamente all’emergere di un’intelligenza artificiale via via più invasiva. La nostra conoscenza, la nostra memoria, sono assorbite da archivi informatici, contenitori virtuali di ogni scibile umano. Le menti individuali confluiscono in un’oceanica mente collettiva in cui la nostra limitata capacità di sapere e ricordare sembra superarsi senza sforzo.

In realtà, questo apparente trascendimento pregiudica parte delle nostre facoltà mnemoniche e delle nostre autonome capacità intellettuali. Più trasferiamo memoria e intelligenza alla macchina, più le nostre funzioni naturali si indeboliscono. E ormai sembra razionale ovviare ai nostri limiti biologici mediante l’ibridazione del cervello umano con software elettronici.

Anche nazionalismi, differenze culturali e religiose, tradizioni, appaiono come barriere che la nostra pulsione ‘evolutiva’ deve cancellare. Appiattimento e uniformità, pensiero unico, sono gli antidoti usati per distruggere nel limite il valore delle diversità e delle specifiche identità.

E non si può certo dimenticare la terribile assenza di limite della guerra: armi sempre più potenti e micidiali, conflitti che, usciti dai tradizionali limiti militari, coinvolgono direttamente sempre più larghi strati di popolazione civile, senza distinzione di età o di sesso, cancellando intere città; per giungere oggi alla minaccia di armi apocalittiche – nucleari, batteriologiche, climatiche ecc...

Il concetto stesso di ‘umano’ appare come un limite da superare. Al punto che il progresso non è inteso al servizio dell’uomo ma il contrario. La trascendenza si sposta dal mistero della persona umana all’astratta idea di sconfinamento in un oltre-uomo razionalizzato, meccanizzato, massificato e totalmente secolarizzato. Privati della dimensione sacra, vorremmo oggi attuare una sorta di capovolgimento metafisico, proiettando su realtà terrene – beni materiali, saperi scientifici, artefatti tecnologici – i fantasmi dell’infinito.

Complementari a queste dissoluzioni del limite vi sono le sue ipertrofie e i suoi dolorosi crampi, che provocano una restrizione del nostro orizzonte ontologico. Per esempio, una religione che costringe nella fissità dei dogmi e delle dottrine la vita pulsante dello spirito, una scienza che sclerotizza la realtà in equazioni e misurazioni, una sociologia che riduce le dinamiche umane a statistiche e percentuali, una medicina che esaurisce l’uomo nella sua dimensione corporea e in modelli meccanici, leggi che limitano gravemente la libertà dei cittadini, una morale che impone all’uomo rinunce e repressioni insensate, una cultura che si fa mainstream, un’informazione che è propaganda ecc...

Il limite diviene qui una camicia di forza in cui l’essere resta imprigionato. Esperienze mistiche, visioni metafisiche, ispirazioni poetiche e artistiche, idee non convenzionali, ipotesi ‘scientificamente’ indimostrabili, tutto ciò vien giudicato con sospetto e messo a margine della vita. È così, ad esempio, che un eccesso del razionalismo produce un’atrofia dell’arte e della poesia nella società moderna, così che i condizionamenti mediatici inducono comportamenti e modelli di pensiero sempre più ossessivi e coatti.

L’abuso del limite, della regola costrittiva, ha la sua espressione privilegiata nella ‘legge’. La legge – religiosa, etica, civile – ha in origine valore positivo, non è in contraddizione con la nostra libertà, è anzi ciò che la rende possibile. Una licenza senza limiti coinciderebbe infatti col nulla. La mancanza di regole non aprirebbe l’uomo all’infinito ma lo chiuderebbe nella sua nullità. Tutte le nostre azioni chiedono infatti una misura.

Il pensiero ha bisogno di logica, di grammatica e sintassi per esprimersi. La fede, se vuol dischiudere i suoi aneliti, deve ricorrere a forme chiuse. Ogni riflessione o decisione comporta una ‘deliberazione’ che è una coesione di limite e libertà. Un artista è veramente libero quando impara a contenere il suo estro con rigorosa disciplina. Una società può funzionare armoniosamente solo all’interno di codici prestabiliti ecc. V’è cioè una necessaria e sana fisiologia della legge.

Le regole devono però conformarsi alla natura umana per assecondarne lo sviluppo, trovando l’equilibrio tra fermezza e flessibilità, ossia imponendosi anch’esse un limite. Se lo superano, come oggi accade, diventando crudeli e disumane, fanno dell’uomo uno schiavo, imprigionandolo entro limitazioni sempre più dolorose. Ma la violenza chiama violenza e chi oggi emana leggi ingiuste, assurde e vessatorie, dovrà capire che anche la pazienza della gente ha un limite.

Ci troviamo infine con un nuovo paradosso da risolvere: l’abolizione del limite ci rende più limitati. Avere migliaia di amici virtuali aumenta la nostra solitudine. Leggi troppo numerose e severe producono uno stato di illegalità. Un eccesso di informazione ci rende più stupidi. Troppa libertà ci paralizza. Al progresso della medicina corrisponde un mondo sempre più malato ecc...

Si potrebbe chiedere: come si trova il giusto limite ? Il punto è che non è possibile indicarla con precisione, secondo misure matematiche. Occorre una naturale sensibilità, e questa innata intuizione del limite va coltivata, educata, trasmessa, come la capacità di capire la musica o la poesia. Appunto perché la nostra società concede dignità di ‘fatto concreto’ solo agli oggetti commensurabili, traducibili in numeri e quantità, noi abbiamo svilito e smarrito il senso del limite.

Quel che oggi appare indispensabile è dunque recuperare una nozione e una semiologia del limite, che distingua la soglia invalicabile da quella che è passaggio e apertura, che riconosca il confine non solo tra il possibile e l’impossibile ma tra il lecito e l’illecito. Occorre applicare al limite una terapia che ne curi i tumori e le immunodeficienze, ne svuoti gli eccessi e ne riempia i vuoti; riparare i nostri jien, quei naturali nodi di delimitazione e di sostegno che impediscono alla vita di cedere e ritorcersi su sé stessa. Forse impareremmo così a godere di quella limitata felicità che il destino ci concede, e a comprendere che si entra nell’Assoluto solo dalla porta del limite.

- Livio Cadé -