Il Problema
riguardo qualsiasi cosa viene loro inculcata.
Parole e riflessioni, immagini, colori e suoni, come impronte lasciate e incrociate lungo il Cammino.
Chi ne è consapevole e non lo dice apertamente
- anche se nell’esistenza presente può godere di pace e sicurezza -
cadrà sicuramente
nella grande fortezza dell’inferno di incessante sofferenza nella prossima vita.
Ma, se, temendo una tale sorte, egli decide di parlare
deve essere preparato a subire l’esilio o la condanna a morte.
Consapevole di questo, durante l’epoca di Bunno [1260]
sottoposi una petizione al defunto prete del Saimyo-ji
ma il mio consiglio non fu ascoltato.
A quel tempo i credenti Nembutsu, quando seppero ciò che avevo fatto
cospirarono con i loro seguaci di alto e basso rango
e mi attaccarono con lo scopo di uccidermi, anche se non riuscirono nel loro intento.
Il reggente Hojo] Nagatoki, il governatore di Musashi
- figlio del prete laico del tempio Gokuraku -
consapevole dei desideri di suo padre
mi fece esiliare senza una ragione plausibile nella provincia di Izu.
Come tutti hanno potuto vedere
l’effetto è stato che il prete laico del Gokuraku-ji e Nagatoki
sono morti e tutta la loro famiglia si è estinta.
Qualche tempo dopo, fui richiamato dall’esilio.
Ancora una volta parlai apertamente come il sutra impone
con ancor maggiore veemenza di prima, e di nuovo
il dodicesimo giorno del nono mese dell’ottavo anno di Bun’ei [1271], fui esiliato
questa volta nella provincia insulare di Sado.
Come avevo predetto al tempo in cui ero incorso nella disapprovazione delle autorità
i membri del clan reggente che mi avevano condannato all’esilio
cominciarono a litigare fra loro.
Forse fu per paura di questo che fui richiamato ancora una volta dall’esilio.
Tuttavia i miei consigli non furono ascoltati
e la gente comune nutrì un astio ancor maggiore nei miei confronti.
Anche se si rischia la vita per esprimere i propri ammonimenti
- se le autorità dello stato non li ascoltano -
non c’è dubbio che il paese sia destinato alla distruzione.
Tuttavia, se, anche dopo che qualcuno ha messo in luce i loro errori
i governanti si rifiutano di seguirne il consiglio, allora non è colpa di chi ammonisce.
Con questo pensiero in mente, ho lasciato Kamakura nella provincia di Sagami
il dodicesimo giorno del quinto mese dell’undicesimo anno di Bun’ei [1274].
Dal diciassettesimo giorno del sesto mese dello stesso anno
risiedo qui, nelle profondità delle montagne
e ormai da cinque anni non mi avventuro per più di cento metri oltre il cancello.
Io sono originario della provincia di Awa.
L’amministratore di quella provincia, Tojo Saemon-no-jo Kagenobu
dietro le pressioni del prete laico del Gokurakuji, del prete laico Toji Saemon
e di tutti i credenti Nembutsu
di tanto in tanto intentava qualche causa contro di me.
Alla fine scatenò le ostilità nei miei confronti
e così i sostenitori del prete laico del Gokurakuji riuscirono a distorcere la legge
per farmi interdire dalla zona sotto la giurisdizione di Tojo Kagenobu
e impedirmi l’accesso.
Quindi, sono passati molti anni
dall’ultima volta che ho potuto visitare le tombe di mio padre e di mia madre.
Inoltre per due volte sono incorso nella disapprovazione dei governanti del paese.
La seconda volta fu annunciato ufficialmente
che sarei stato esiliato in una remota località
anche se in privato circolò voce che dovevo essere decapitato.
Il dodicesimo giorno del nono mese, all’ora del bue [dall’una alle tre]
fui condotto a Tatsunokuchi, presso Kamakura, per esser decapitato.
In quel momento, per una qualche ragione, un oggetto simile alla luna
giunse nell’aria dalla direzione di Enoshima e aleggiò sul capo del boia
che ne fu così terrorizzato da non poter portare a termine il suo compito.
Poi ci furono vari sviluppi e così quella notte sfuggii alla condanna a morte.
In seguito, dopo essere stato esiliato nella provincia di Sado
ci fu un altro tentavo di decapitarmi
ma, come ho detto prima, scoppiò un dissidio fra varie fazioni a Kamakura
e fu inviato in tutta fretta un messaggero a Sado; così non mi decapitarono.
Alla fine fui perdonato e adesso vivo solo fra le montagne.
Quando ero nella provincia di Sado vivevo in un cimitero chiamato Tsukahara
un luogo fra i prati e le montagne, lontano da qualsiasi abitazione umana.
La mia dimora era una piccola capanna che si reggeva su quattro pali.
Dalle assi del tetto si intravedeva il cielo e i muri cadevano a pezzi.
La pioggia entrava come se il tetto non ci fosse affatto
e all’interno si ammucchiava la neve.
Non c’erano né effigi del Budda
né alcuna traccia di stuoie o altre coperture del pavimento.
Ma io vi collocai l’effigie del Budda Shakyamuni, il signore degli insegnamenti
che avevo con me da tempo
e, con il Sutra del Loto in mano, un mantello di paglia addosso
e un cappello di paglia in testa, cercai di viverci come potevo.
Passarono quattro anni
durante i quali nessuno venne a visitarmi o a portarmi cibo.
Ero come Su Wu
prigioniero per diciannove anni nella terra dei barbari del nord
che indossava un mantello di paglia e mangiava neve.
Adesso sono cinque anni che vivo in questa dimora montuosa.
Tutt’intorno, come alti paraventi, sono disposte quattro montagne.
A nord si erge il monte Minobu, simile a una scala a pioli che arriva fino al cielo.
A sud c’è il Takatori che sembra il monte Kukkutapada
a ovest lo Shichimen, simile alla Barriera di ferro e e a est
il monte Tenshi, che è il principe ereditario del monte Fuji, l’imperatore.
A nord c’è un grande fiume di nome Haya, rapido come una freccia.
A sud c’è il fiume Hakiri
capace di far rotolare enormi massi come se fossero foglie d’albero.
A est il fiume Fuji scorre da nord a sud, impetuoso come l’affondo di mille alabarde.
Lungo il suo corso, la cascata di Minobu
è come una striscia di stoffa bianca che penzola dal cielo.
In mezzo a queste montagne e fiumi
c’è un angusto appezzamento di terreno, dove sorge la dimora di Nichiren.
È un luogo così immerso fra le montagne
che anche a mezzogiorno è impossibile vedere il sole
e di notte non c’è una luna alla quale comporre poesie.
Sulle vette schiamazzano scimmie simili a quelle delle gole di Pa in Cina
e nelle valli lo scroscio battente del fiume sembra un rullo di tamburi.
Il terreno è ricoperto da grosse pietre e le montagne sono fatte soltanto di roccia e ghiaia.
I governanti del paese mi odiano e, fra la gente comune, nessuno viene a visitarmi.
In inverno i sentieri sono ostruiti dalla neve e in estate sono ricoperti dalla vegetazione.
In lontananza si ode il triste bramito del cervo e le cicale strepitano nelle mie orecchie. Nessuno viene a visitarmi ed è difficile mantenermi in vita.
Non ho indumenti per coprirmi e quindi
puoi immaginare quanto sia stata benvenuta la veste che mi hai donato.
Anche chi mi ha conosciuto o ha sentito parlare di me in passato
ha smesso di avere compassione
e i discepoli e i braccianti che fin adesso erano con me mi hanno tutti abbandonato.
Quindi è stupefacente che una persona come te
che non ho mai visto e di cui non ho mai nemmeno sentito parlare
mi dimostri una simile gentilezza !
Non posso fare a meno di chiedermi
se tu sia la reincarnazione dei miei genitori defunti
o forse una manifestazione delle dieci fanciulle demoni !
L’eunuco si fregò le mani incipriate.
« Posso congedarmi da te con un piccolo indovinello, lord Tyrion ? »
Proseguì senza attendere una risposta :
« Tre grandi uomini siedono in una stanza, un re, un prete e un ricco con il suo oro.
Tra loro c’è un mercenario, un ometto di umili origini e senza troppo cervello.
Ognuno dei tre grandi uomini ordina al mercenario di uccidere gli altri due. »
“ Uccidili ” dice il re “ perché io sono il tuo signore.”
“ Uccidili ” dice il prete “ perché io te l’ordino nel nome degli Dei.”
“ Uccidili ” dice il ricco “ e tutto quest’oro sarà tuo.”
« Per cui, dimmi, mio lord : chi sarà a vivere e chi a morire ? »
[…]
« Il re, il prete e il ricco… chi vive e chi muore ?
A chi di loro obbedirà il mercenario ?
E’ un indovinello che non ha risposta. O meglio, che di risposte ne ha troppe.
Tutto dipende dall’uomo con la spada.»
« Eppure, quell’uomo non è nessuno » commentò Varys.
« Non possiede corona, né oro, né il favore degli Dei.
Possiede solo un pezzo di acciaio acuminato.»
« Ma quel pezzo d’acciaio ha il potere di vita e di morte. »
« Per l’appunto… Quindi, se sono i guerrieri, in realtà, a dominare il mondo
per quale motivo facciamo finta che siano i re a detenere il potere ? »
[…]
« Perché (quei re) possono chiamare altri uomini, con altre spade. »
« E allora sono quegli altri uomini con le spade ad avere il potere.
Ma lo hanno veramente ? Da dove provengono le loro spade ?
Perché quegli uomini, alla fine, obbediscono ? »
Varys continuò a sorridere.
« C’è chi dice che il sapere è potere.
Altri dicono che il potere arriva dagli Dei, altri ancora che deriva dalla legge. »
[…]
« Facciamola finita, Varys.»
Tyrion tornò a inclinare la testa di lato.
« Hai intenzione di darmi una risposta al tuo maledetto enigma
o vuoi solo che il mio mal di testa peggiori ? »
« Vuoi la risposta ? Eccola. »
Varys non smise di sorridere.
« Il potere risiede dove un uomo crede che risieda. »
« Nulla di più, nulla di meno. »